La vicenda giudiziaria di Lucano in Calabria per il momento finisce qui. Con una sentenza «aberrante» quanto «abusare del potere discrezionale che la legge concede al giudice nel calcolo della pena è mostruoso. Cosi venivano puniti nel ‘500 gli Ugonotti e nel ‘600 i valdesi di Torre Pellice, cosi venivano massacrati gli eretici». Sono parole che traggo dall’articolo La giustizia rovesciata a firma di Francesco Merlo, su la Repubblica di venerdì 30 settembre.
È, credo, tempo di fare alcune considerazioni che potrebbero o dovrebbero condividere i cittadini calabresi, senza distinzione di parti politiche. Perché sono essi, è la loro terra che viene segnata, marcata a fuoco da una giustizia “rovesciata”, ingiusta e apparentemente vendicativa.
Ho scritto due giorni fa che a Locri è stato pronunciato il “giudizio di Dio”, non una sentenza emendabile – lo è tecnicamente, non sostanzialmente – perché il messaggio che essa lancia, magari a dispetto della volontà dei giudici, è una specie di intimidazione a non praticare in alcuna forma l’accoglienza di poveri disgraziati, a non esercitare il culto della pietà, a non provare a mettere in campo un’esperienza come a Riace che è possibile solo violando le leggi. Quelle che perseguono l’obiettivo contrario, cioè di liberarsi una volta per tutte di questi nivuri che ci disturbano solo esibendo la loro condizione disgraziata.
La giustizia non gode di una buona salute oggi. Il racconto deprimente che è uscito dal CSM ci obbliga a non considerare tutti i magistrati santi ed eroi. Ce ne sono, certo la maggioranza, di magistrati che servono i cittadini e la giustizia, ma non sono tutti. E di questi dobbiamo preoccuparci e aver timore.
Lucano è la classica vittima sacrificale, un sovversivo agli occhi dei benpensanti, un esempio di arrogante indipendenza da chi è sacerdote corrotto della iniquità e della mediocrità.
Poiché Lucano si ritrova per una specie di eterogenesi dei fini ingiustamente vittima a causa di una sentenza aberrante, tutti noi calabresi, che siamo certo molto migliori di come ci rappresentano abusando di ignobili pregiudizi, dovremmo smetterla con le espressioni ingiuriose, false, banali con cui qualcuno ha accolto sulla rete le parole di sgomento, rabbia, sorpresa pronunciate da tanti e riproposte, all’indomani della sentenza, con ancora maggiore severità dai commentatori più autorevoli.
Non dobbiamo per forza essere ammiratori di Lucano. Ma non possiamo neanche atteggiarci o essere suoi persecutori, perché quelli che lo hanno fatto con sentenze e pandette o con gazzette malefiche bastano e avanzano. Non possiamo essere più servi dei servi che oggi lucrano sulle disgrazie altrui, non possiamo inquinare la nostra vocazione alla tolleranza e alla solidarietà che è il vero patrimonio di cui andare fieri.
Non è per fare un favore a Lucano – che pure di solidarietà avrebbe bisogno – ma per non confonderci con i seminatori di odio e di disprezzo. Quelli che oggi, per fare bottino di voti, si presentano con la maschera dell’amicizia e della solidarietà. Gli stessi che chiamano negher le stesse persone che qualche nativo, a nostro disdoro, chiama nivuri.