Oggi la Repubblica parla della Calabria. Ne scrive Isaia Sales, intellettuale napoletano con una storia di militanza politica nelle file del PDS, passaggio obbligato per arrivare all’odierno PD. L’ analisi di Sales parte da una affermazione che ha il crisma della verità, ma anche il sapore che non piace alla politica nostrana e alle sue pedine sociali che ne garantiscono e ne perpetuano la durata e il potere. Che ha più il profilo dello scambio mercantile: da una parte donazioni sempre più magre e virtuali e dall’altra una fascia di cittadini, che possiamo sperare progressivamente ridotta, pronta a credere ai “donatori”, spesso solo di chiacchiere e promesse farlocche.
A chi confonde l’amore che noi tutti proviamo per la Calabria con l’abbellimento e la rappresentazione quasi onirica (la realtà sociale ed economica invia altri più crudi messaggi) Sales si rivolge con queste parole: «La Calabria, regione semisconosciuta all’Italia ritorna al voto (…) accompagnata dai pregiudizi di sempre, primo dei quali il convincimento che niente può cambiare e niente cambierà. Lontana, affascinante, sfregiata, ombrosa, è la regione più complessa e fragile, più esposta alla continuità delle sue irrimediabili questioni che aperta a nuove possibilità».
Se questo giudizio è fondato, e noi lo crediamo fermamente, c’è da chiedersi su quale base, con quali elementi sopraggiunti di certezza e, soprattutto, con quanta onestà intellettuale i candidati in numero pari ai mille di Garibaldi propongono una discontinuità che ha peraltro una doppia valenza. Da un lato certifica che la condizione della Calabria, da loro stessi determinata a garanzia della loro permanenza nel circolo del Potere, è insopportabile. Dall’altro, loro che sono gli emuli del Gattopardo in salsa bruzia, promettono un cambiamento che né vogliono veramente né sono in grado di realizzare.
Ribaltando un luogo comune, Sales non considera colpevoli i calabresi di questa mortifera e maleodorante continuità. Anzi, introduce un dato di straordinaria novità: la Calabria dove nulla cambia è invece in Italia «la regione a più alta mobilità del voto». A conferma di questa affermazione, che smentisce la «presunta non volontà dei calabresi di cambiare, di cui i comportamenti elettorali sarebbero negli anni l’inequivocabile conferma», ricorda Sales, nelle ultime cinque elezioni regionali i calabresi hanno prodotto con il loro voto un alternarsi di centrosinistra e centrodestra. Questo dicono i nomi in successione di cinque presidenti di Regione. Dal 2000 Chiaravalloti, seguito da Loiero, poi da Scopelliti, da Oliverio ed infine dalla compianta Santelli.
«Questo alternarsi – cito sempre Sales – dimostra che i calabresi votano sulla base di alte aspettative di cambiamento e quando queste vengono deluse (praticamente sempre, ndr) bocciano chi li ha governati e premiano l’opposizione». Per non indurre il candidato presidente del centrodestra, che è dato favorito dai sondaggi, a riti scaramantici è probabile o almeno possibile che lo schema del “pendolo elettorale” possa incepparsi. Perché questo accadrà o potrebbe accadere? Perché scomparsa la Santelli il ff Spirlì ha sorpreso tutti per intelligenza politica, saggia amministrazione, lungimiranza? Niente affatto. Anzi, prevale l’opinione che il vero Spirlì sia quello magnificamente interpretato da Crozza. E ad accrescere la consapevolezza che nella politica nostrana l’arroganza la fa da padrona, avremo un probabile vice presidente leghista che non si sottoporrà al voto perché, come ha dichiarato mesi fa, «non ha tempo da perdere».
Piuttosto che riportare integralmente l’articolo di Sales che spiega ampiamente la «schizofrenia tra ansia di rinnovamento dei calabresi e frustrazioni che derivano da istituzioni resistenti al cambiamento» – naturalmente invitando a leggere direttamente tutto l’articolo su “I ribelli della Calabria” – aggiungo solo brevi considerazioni.
La politica calabrese è sicuramente inadeguata, priva di credibilità, poco autorevole nel rapporto con quella nazionale e con i poteri economico finanziari italiani ed europei. Ma della politica non si può fare a meno e la fuga dalle urne premia quella peggiore. È una scelta, quella elettorale, non facile, perché non basta conoscere ed apprezzare i candidati migliori e più affidabili.
Occorrerebbe conoscere chi è dietro di loro, chi sono gli impresentabili che canalizzano valanghe di voti a patto che si nascondano dietro facce più presentabili. È un inganno? Sì. Ma è anche una delle spiegazioni per le quali la continuità prevale, a dispetto sia della volontà dei calabresi di cambiare, secondo la tesi di Sales, sia delle conclamate promesse di discontinuità che provengono da tutti gli attori in campo.
La politica senza partiti non esiste. E la prevista liquefazione del M5S, ad impedire o contenere la quale è stato chiamato Giuseppe Conte – che è l’esatto contrario antropologico rispetto a Grillo e alla classe dirigente e costituente del Movimento – sta a lì a provarlo. Ma aiuta la politica a servire gli interessi generali del propri cittadini la persistenza al potere della stessa classe dirigente, compaia o meno in prima linea, che di fatto, perda o vinca, cogestisce con un insano rapporto il potere o il sottopotere con i vincitori?
Forse, più che il pendolo elettorale evocato da Sales, occorre un reset integrale dopo il quale il centrodestra sia veramente centrodestra e il centrosinistra faccia altrettanto marcando una diversità politica, programmatica culturale ed etica per cui tra vincitori e vinti non ci sia nessun mercatino rionale dove praticare lo scambio di merci e mercede.