Il Carnevale e la Commedia dell’Arte s’incontrano sul quel terreno di studi che riguarda la storia del teatro e le ricerche etnoantropologiche, si tratta di una stretta relazione in grado di delineare nascita, sviluppo e diffusione di entrambi i fenomeni. La dimensione teatrale, così come quella relativa agli antichi riti comunitari, non è una realtà quotidiana o ordinaria, si tratta di un tempo legato a una serie di attività celebrative, liturgiche, spettacolari che nell’uso delle maschere, delle danze, dei costumi, della parola ripetuta, raccontata o improvvisata ritrova la propria dimensione transitoria. La Chiesa cattolica è riuscita ad appropriarsi e a convertire tutte quelle feste e usanze rituali che appartenevano al tempo precristiano, trasformandole in qualcosa al servizio del suo stesso culto. L’adattamento alle feste e alle usanze preesistenti fu la politica adottata dalla Chiesa di Roma; nel 601, le parole che papa Gregorio inviò all’abate di Mileto, da poco giunto a Canterbury, non lasciano dubbi: “Distruggi gli idoli, purifica gli edifici con l’acqua santa; ponivi delle reliquie, e lascia che diventino i templi del vero Dio. Così il popolo non avrà bisogno di cambiare il luogo di riunione”. Una locuzione latina recita: “Semel in anno licet insanire” (una volta l’anno è lecito impazzire), difficile non pensare a quelle follie alle quali si abbandonavano, subito dopo il Natale e a Carnevale, i cristiani durante il medioevo e di cui è facile dedurne le radici nelle feste in onore di Dioniso, Apollo e Saturno. Durante queste feste e rappresentazioni venivano indossate delle maschere che trasformavano i sacerdoti o gli attori delle Grandi e delle Piccole Dionisie in dei personaggi. La sovrapposizione del calendario cristiano agli usi preesistenti fa si che anche il Carnevale trovi una collocazione nell’agenda della liturgia cristiana, e precisamente nella seconda settimana grassa, il martedì grasso e il mercoledì delle Ceneri. Queste feste furono particolarmente importanti per il successivo sviluppo dell’arte drammatica, e soprattutto delle commedie che utilizzavano le maschere. Il Carnevale (carnem vale– addio alla carne), preannunciava un periodo di austerità e capitava proprio nel momento dell’anno in cui le provviste alimentari scarseggiavano. Era questo il momento giusto per reclamare, attraverso canti e versi satirici diretti alle istituzioni religiose e politiche, il mecenatismo di nobili e signori. Nascondendosi dietro le maschere era concesso schernire la classe dominante senza il pericolo di possibili conseguenze. Il più antico Carnevale italiano è quello di Venezia, le prime notizie risalgono addirittura all’XI sec. e, dalla città lagunare, la tradizione si diffuse in tutta Italia. Le botteghe si specializzavano nella creazione di maschere che, durante i festeggiamenti, annullavano le differenze sociali. Nel ‘500 le maschere del Carnevale subirono la contaminazione della Commedia all’Improvviso, meglio conosciuta come Commedia dell’Arte che associa al nome di Carlo Goldoni la sua radicale riforma. Le prime compagnie teatrali di professionisti, cioè quelle che per la prima volta, dal 1545, stipularono un contratto professionale con il quale gli attori s’impegnavano a viaggiare, rappresentando spettacoli dietro compenso, cominciarono a diffondere il genere della Commedia in tutta Europa.
La Calabria, da sempre, risente della mancanza di una tradizione teatrale in grado di condensarsi in una letteratura umanistica dettata, il più delle volte, da un mecenatismo che significava presenza di corti di cui questa terra ne è priva. L’unica tradizione calabrese che si ritrova come esempio di teatro dialettale è nella farsa carnevalesca, accompagnata da maschere e cortei. Il Carnevale anche in Calabria si conferma festa della satira oppositiva verso il potere dominante, privo di una maschera tipica della commedia dell’arte e con l’equivoco dell’errata paternità di quella di Giangurgolo.
È il regista teatrale Nello Costabile a ripercorrere la storia di quest’antica maschera, di cui ha indossato i panni e ne ha interpretato il ruolo. Costabile ha incontrato da vicino i più grandi maestri del teatro contemporaneo (da Julian Beck a Judith Malina, da Jerzy Grotowski a Peter Brook, fino a Eugenio Barba), ed è stato tra i fondatori, nel 1976, del Centro RAT Teatro dell’Acquario di Cosenza. Costabile per la sua carriera professionale e il suo impegno nel campo degli studi sul teatro europeo ha ottenuto diversi riconoscimenti internazionali, di recente uno dall’Università bretone di Rennes che si aggiunge a quello conferito nel 2017 dall’Ecole Régional des acteus de Cannes-Marsiglia. Il Racconto di Costabile inizia da quando, nel 1974, il regista della Rai Enrico Vincenti, che stava realizzando una serie di cortometraggi sulle maschere della Commedia dell’Arte, lo invita a partecipare a uno di questi filmati recitando proprio la parte di Giangurgolo, assente dalle scene teatrali almeno dal 1650. L’impegno di Nello Costabile è stato quello di ricostruire l’immagine e la storia della maschera, in un momento storico in cui si avevano scarse notizie. Certo c’era la ricostruzione che negli anni ’50, su commissione dell’Ente provinciale per il turismo di Cosenza, ne aveva fatto Anton Giulio Bragaglia nel testo Giangurgolo, ovvero il calabrese in commedia, e che poi ha creato i successivi equivoci, ma, di fatto, si trattava di fonti molto imprecise. Probabilmente Giangurgolo era un capitano spagnolo e Costabile, allora impegnato a Parigi al Théâtre du Soleil, insieme con alcuni colleghi attori e sulla base di alcuni testi pubblicati da Bragaglia sulle maschere del ‘600, è riuscito a ricostruire la maschera e i movimenti. La maschera di Giangurgolo, secondo gli studi approfonditi da Costabile, era molto conosciuta nella Venezia del XVIII secolo, a testimoniarlo i versi del poeta Bartolomeo Dotti (1651-1713):
Si senton cembali e tamburi
Con i tari- tarapatà
E si cantano versi ineguali
Da Giangurgo a Gnapatà.
Costabile rileva come le stesse fonti iconografiche, sia il ritratto fatto da Claude Gillot (1673-1722) e il quadro di Jan Steen (1626-1679), conservati nel Museo Mauritshuis dell’Aia, ne mostrano le caratteristiche fondamentali del costume: lungo naso su mascherina rossa, cappello di feltro a cono, lunga spada, corpetto, calze a braghe e vistose righe gialle e rosse.
Come tutti i capitani della Commedia dell’Arte è bugiardo, millantatore, amante deriso dalle donne che ama o dice di amare. L’origine del suo nome, Zan Gurgolo, cioè Zan, Zanni, Giovanni Golapiena o Ghiottone lo accomuna con quelle maschere dei servi che dalla campagna giungevano in città, perché il suo ruolo non rappresentava la tipologia fissa del Capitano, ma ricopriva anche quello di servo. Nella ricostruzione storiografica effettuata da Costabile, c’è anche quanto scrive, a proposito della maschera, lo storico Alessandro Cervellati nel 1954. Secondo il Cervellati la maschera è nata “dal gusto deformante e caricaturale dei calabresi desiderosi di porre in ridicolo i corregionali, che scimmiottavano i cavalieri siciliani e adottavano le allure spagnole”. Il punto, sottolinea Costabile, è proprio questo: Giangurgolo rappresenta il tipo calabrese, la caratterizzazione del personaggio calabrese, ma in realtà la maschera è nata a Napoli e non in Calabria. Allora il calabrese era descritto come spregevole, goffo e ridicolo, caratteristiche che lo fecero rientrare nel gioco delle rappresentazioni dell’Arte di una Napoli seicentesca brillante e inventiva. Nel ‘600 Napoli era la capitale del regno e, oltre ad essere interessata dal fenomeno dell’emigrazione dei calabresi, molte famiglie aristocratiche mandavano i propri figli a studiare, quindi l’idea del personaggio calabrese si concretizzò in una maschera che entrò a far parte di quella Commedia dell’Arte che da Napoli, grazie ai contatti della capitale con le città del nord dell’Italia e dell’Europa, trovò ampia diffusione. Sempre dalle inesauribili fonti di Costabile apprendiamo che in un testo del 1897, dal titolo Un parisien à Rome et à Naples en 1632, c’è scritto “Non si fa una buona commedia dove non ci sia sempre un calabrese che faccia la parola della farsa come i romani mettono un Raguet”.
Nello Costabile nel 1978 ha messo in scena lo spettacolo “Giangurgolo in commedia ovvero le stravaganti avventure d’un comico dell’Arte”, prodotto dal centro RAT di Cosenza. Il testo è stato elaborato sulla base della sua lunga ricerca effettuata su materiali inediti e con l’aiuto di tutti i canovacci reperibili. A distanza di più di tre secoli, Giangurgolo, ritornava a interpretare la maschera del tipo calabrese. Dopo il ’78 lo spettacolo è stato rappresentato altre due volte, nel 1992 e nel 2002.