Da oggi provo a scrivere una storia di vita, in cui molti, come me, non più giovani potranno forse riconoscere qualcosa che non gli è stata e non gli è estranea del tutto.
Per me, che non amo la fantascienza che è la forma più lontana dalla realtà è una specie di debutto.
Se avete letto un mio post sulla pagina Facebook de I Nuovi Calabresi l’intenzione iniziale era un’altra.
Ieri mi è stata inviata la Memoria, in risposta ad un nostro Ricorso, che saranno discussi tra pochi giorni a Roma nella Sezione Lavoro.
È inutile dirvi che le parti sono un lato io, defenestrato e non pagato Direttore Generale della Fondazione per oltre 10 anni, poi anche per breve tempo Presidente, e dall’altro la Fondazione Giuliani passata di mano, a Walter Pellegrini.
Per chiudere con questo prologo burocratico e noioso aggiungo che, con uno “stile” che non ho mai visto usare in un atto giudiziario, l’avvocato che viene apparentemente dal Nord utilizza frasi del genere: “Egli (cioè io) non riesce a placare la sua brama di denaro” “Gode di una cospicua pensione (ndr che gli basta e gli avanza)” ecc… ecc…
Ultima postilla: l’attuale Presidente che aveva un rapporto di collaborazione con la Fondazione per la sua presenza a Cosenza ha, legittimamente percepito circa € 300.000,00 lordi (anche nel 2020 anno di Covid e con me trasferito a Cosenza il 2021, quando si è visto poco o niente a Villa Rendano) e avuto l’opportunità di fare assumere, anche con contratti che per quel che è dato sapere non firmati dal Presidente o dal Direttore Generale due familiari e persino l’ex colf di famiglia.
Fine della premessa.
Dunque, ora proverò a scrivere la prima puntata di un racconto di “fantasia” che però potrebbe essere tutto vero o un racconto di fatti e di eventi reali che, come spesso accadono, si accompagnano e si camuffano con un velo di fantasia.
A fare da ”voce narrante” mi presto io.
Tutto nasce molti anni fa, quando una famiglia della media borghesia, come molte altre con o senza veri motivi, lascia Cosenza e si trasferisce a Roma.
A quel tempo, forse anche per durata del viaggio per arrivarci da Cosenza – in treno con cambio a Paola non meno di 12 ore e forse più, in auto con la statale n.19 delle Calabrie circa 20 ore, con sosta obbligata a Napoli – Roma era un po’ il sogno nel cassetto per noi calabresi. Per molti, tra i quali un ragazzetto di 7 anni, più che un sogno, una specie di incubo, o se è troppo, “un atterraggio” in una realtà troppo grande e sconosciuta.
Chi ha fatto l’esperienza dell’emigrato, giovanissimo o adulto, sa che anche nella Roma di quel tempo, più paciosa e umana di quella di oggi, le battute cattive non mancavano. “NOI” calabresi emigranti parlavamo con un accento strano, le divisioni, nella scuola elementare di Piazza Cappello, ce le avevano insegnate in un modo che era differente da quello romano. Il risultato ala fine era lo stesso, ma la maestra supplente, che non lo sapeva, si divertiva a mostrare alla classe il voto zero spaccato, dato a quel ciuccio di ragazzetto.
Oggi per i nostri emigrati non tutto è rosa e fiori, non rischiano un voto cattivo, ma in alcune città del nord il pregiudizio per i terroni non è scomparso. Ricordate quel tifoso veronese che ci ha chiamato per tutta la partita tra Verona e Cosenza “Simmie! Simmie!”?
Togliete la maschera dell’ipocrisia ai Salvini doc e scoprirete che a noi meridionali proprio uguali a loro non ci considerano.
Ma voglio fare un racconto di fantasia (o realtà) non il bis del libro Cuore.
Dunque andiamo avanti nel tempo. Quel ragazzetto era abituato come la maggioranza degli studenti di quella scuola, a studiare duro, poi demonizzata nel mitico perenne sessantotto italiano, quindi alla maturità classica prese la media del 9, smentendo una becera professoressa di Chimica che per tre anni lo aveva perseguitato con il voto massimo di 5.
Poi il seguito comune a tutti. Ma, proprio perché come dice l’avvocato del Pellegrini bis, sono “bramoso di denaro” mentre tutti si aspettavano che un “Alfiere del lavoro per meriti scolastici” si iscrivesse ad una facoltà che ti apriva la strada per professioni ricche, il nostro giovane maturato decise di iscriversi a Lettere per fare il lavoro più bello, insegnare nei Licei.
L’ha fatto per quasi 10 anni nelle scuole più prestigiose di Roma, ma da scapolo con lo stipendio di allora (e anche di oggi) non poteva neppure andare a cena con gli amici e poi colleghi più di una volta a settimana.
Che fare in questi casi? Il ragazzetto diventato giovane adulto non aveva la “ricca paghetta che ho dato alle mie figlie, come molti genitori oggi fanno, e quindi si dette da fare passando ore in Sala stampa a Piazza San Silvestro dove giornalisti veri, per pigrizia, gli affidavano il compito di scrivere di tutto al posto loro. Un giorno di giudiziaria, e da allora l’ex ragazzetto ha cominciato ad avere qualche dubbio sulla Giustizia, vedendo avvocati illustri che si parlavano addosso e Giudizi togati che leggevano il giornale, mentre il poveraccio imputato di turno stava taciturno e rassegnato in gabbia. Un altro giorno la cultura e l’arte, che lo fece diventare di fatto corrispondente di un quotidiano di Genova Il Corriere mercantile, naturalmente tacendo al direttore la sua giovane età.
Non bastavano al giovane aspirante giornalista – a quel tempo per diventarlo dovevi avere un parente stretto che lo fosse – le poche migliaia di lire che gli davano per articolo.
Ma l’abitudine a fare più lavori contemporaneamente e grazie a Giacomo Mancini, che quel giovanotto stimava oltre il giusto a collaborare con la Direzione socialista, gratis ovviamente, non passò. Non solo per avere qualche soldo in più, ma anche perché politica militante e lavori gli piacevano.
Qui finisce la prima puntata del racconto. Decidete voi quanto c’è di fantasia e quando di realtà. In fondo possono essere l’una compatibile con l’altra.
Alla prossima puntata il prosieguo fantasioso e non solo del cattivone “bramoso di denaro”.