Se ai genitori, in questo caso in particolare ai padri, si chiedesse cosa li renderebbe più felici e orgogliosi dei propri figli una volta divenuti adulti, in grande maggioranza la risposta sarebbe: “che loro fossero migliori, più fortunati di me”. I termini migliori e fortunati non si riferiscono esclusivamente al lavoro, che potranno fare conforme ai propri desideri e alle proprie capacità: ma certo la qualità, la gratificazione del lavoro come percorso esistenziale, non solo una soluzione qualsiasi per avere di che vivere senza patemi d’animo, incide molto anche se altro rispetto ai “valori” di moralità, socialità e onestà ai quali si dà un giusto primato.
Non credo che oggi siano in molti a poter dire che le proprie aspettative sul “sorpasso” figli-padri sono state soddisfatte.
Ci sono ovviamente cause diverse e molte responsabilità sono attribuibili agli stessi giovani, perché in un contesto comunque difficile e soprattutto inedito per i processi di cambiamento e innovazione che si sono realizzati, mentre altri forse più radicali si preannunciano, in tanti sono legati a vecchi riti e soluzioni fuori tempo. Se i settori produttivi che hanno raccolto la sfida della competizione globale, in grande maggioranza collocati nel nord Italia, hanno bisogno di giovani competenti e maturi con retribuzioni più basse rispetto alla media europea, quelli a minore valore aggiunto, talora con redditi di pura sopravvivenza, non cercano i profili alti (e non necessariamente giovani) e i laureati o diplomati per consuetudine e con corsi nobilissimi, ma improbabili per il nostro Paese – non li cito perché la mia generazione sceglieva una facoltà che non aveva decine di subsezioni utili a dare cattedre alle clientele universitarie, non meno fameliche di quelle politiche – o accettano la sfida dell’incognito attrezzandosi con nuove competenze più appetibili, avendone la voglia e la forza, o debbono vivacchiare con lavori malpagati, precari, non gratificanti.
Tutto questo è noto, ma è utile per individuare il grado di difficoltà e di penalizzazione per i giovani del Sud, e per quanto ci riguarda della Calabria.
Quelle accennate prima valgono ovunque, Nord, Centro e Sud d’Italia. Non è un Eden il resto d’Europa, anche se offre comunque maggiori opportunità, il resto del mondo in teoria è aperto a tutti, in concreto richiede o gli ultimi della terra (una visitina negli Stati del Golfo persico ve ne farà conoscere a milioni) o i più performanti con percorsi di alta formazione costruiti inseguendo le Università o i Centri studi più prestigiosi ed esclusivi.
Non pensiate che alle porte di queste sedi prestigiose siano apposti cartelli plurilingue che dicono “Non si accettano italiani, specie se meridionali”. In realtà c’è posto, ma per pochi. Questa fase barbarica l’abbiamo già vissuta fino ai primi anni 60 a Torino e in altre città dove, guarda caso, s’è costruita la narrazione dei meridionali, terroni, sporchi, analfabeti, per taluni pericolosi e sgradevoli, ma indispensabili (senza di loro Mirafiori della Fiat sarebbe stata poco più che una normale fabbrica, ma non una vera e propria città del lavoro e della vita grama).
Oggi ci sono dati che vogliamo minimizzare, perché o sono o appaiono inopportuni e non utili per esempio a forze politiche e sindacali, o perché sono processi che da anni era facile prevedere ma s’è preferito ignorarli.
Li enumero senza la pretesa di farne una radiografia per specialisti.
Il dato più pesante è quello demografico: la popolazione invecchia (e tutti per non essere tacciati di ostilità per i capelli bianchi aggiungono: per fortuna), la ricchezza prodotta è in calo o stazionaria, in soldoni la torta da spartire è sempre la stessa nella migliore delle ipotesi.
La soluzione: agli anziani che hanno tribolato una vita non possiamo togliere nulla dalle pensioni basse o non alte (quelle cosiddette d’oro sono una frazione minima e negli anni l’oro è diventato argentone o bronzo); i giovani? Si arrangino. Vadano dove il lavoro, (quale?) c’è, a Milano ad esempio dove se ti va alla grande con laurea, master e un po’ di anni di esperienza ti collochi nella forbice € 1500/2000, con cui ti paghi una casa di 50mq in zona semiperiferica (valore medio di mercato oggi € 1100 + condominio) e se sei scapolo addirittura quattro serate in pizzeria.
Sono luoghi “comuni”? Se anche lo fossero, e non lo sono, noi parliamo di gente, giovane, comune, pure essi.
Ci si lamenta della denatalità. Ci sono pochi bambini ai giardinetti come pochi bambini agli asili che specie da noi sono pochissimi e ovunque costano un “botto”.
Le donne lavoratrici una volta avevano madri e suocere vicino che davano una mano. Oggi la grande maggioranza vive lontano dalle proprie famiglie di provenienza. Quindi o paghi la baby sitter che costa con i contributi e il resto più dello stipendio che prendi se lavori o lasci il lavoro o non fai figli. Tutto risaputo, non c’è dubbio ma la domanda è: si prevede di fare qualcosa di concreto per progressive soluzioni? Poco o nulla specie nel Sud, perché costruire o comprare spazi per farne asili forse si può fare, ma la gestione che va alla voce “spese correnti” chi la paga?
Se le risorse sono poche e tu preferisci fare piazze per adunate improbabili, ponti da archistar, musei per dare senso a un mito, o se proiettandoti su un futuro infinito pensi al Ponte sullo Stretto, per asili, assistenza e ospitalità per gli anziani, sussidi o prestiti a tassi bassi, di lunga durata e garanzia dello Stato per i giovani risorse non ci saranno mai.
E il giro continua: i vecchi poverini (giusto), i giovani (sfigati, poverini pure loro ma che ci vuoi fare), figli in carrozzina o triciclo pochi (anche qui, che vuoi fare, le coppie stabili sono in calo, si chiamano compagni e compagne, ma si incartano negli stessi problemi dei reduci che si sposano e se i figli li fanno se la prendono comodo sino alle soglie della menopausa e i padri fai talora fatica a capire se lo sono veramente o nonni che non mostrano l’età).
Siccome le statistiche dicono che ci sono molti giovani che si iscrivono a Filosofia (io ne sono entusiasta perché alla Maturità ho avuto 10), ecco, questi futuri filosofi potrebbero spiegare coma dal nulla e da politici e classi dirigenti attrezzati in buona parte per il suddetto nulla possa crearsi la realtà possibilmente rinfrescata, pulita e rivitalizzata.
Dopo i filosofi ci rivolgeremo ai maghi e alle santone che vanno alla grande.