Quando ho deciso di scrivere questo articolo mi è venuto in mente questo titolo, che rivela il mio legame con la Maremma Toscana, terra di cacciatori che non amo particolarmente e di cinghiali, preda predestinata dei primi.
Chiarisco per evitare equivoci che il cinghiale non ha nulla a che fare con nessuno dei fratelli Gentile.
La scelta del titolo va spiegata ai lettori che non sono obbligati a decifrare una scrittura criptica.
Sarà forse perché sono tornato a Cosenza, dopo quasi otto mesi di lontananza, ma mettendo assieme la meschina sgarberia di cui ho scritto nella storia di quattro persone che mi conoscono e si erano dichiarate amici, o non nemici, che in modi diversi hanno dovuto affrontare ieri il dilemma: a Pellegrini, quello che hanno messo sotto tiro manco fosse Totò Riina, lo posso salutare sì o no? E se lo faccio come posso ridurre il rischio? E ragioni più solide, il cinghiale in questione sarei io che non ho né il fisico né l’attitudine per attaccare gli umani.
Il cinghiale è il sottoscritto, perché è colui che deve essere attaccato fino a zittirlo e se possibile cancellarne le tracce, ma in realtà l’obiettivo finale sono tutti i cosentini che non hanno abdicato alla loro libertà, al loro pensiero critico, anche se non ne fanno pubblica esibizione.
So di ripetermi, ma sottolineo che la vicenda Villa Rendano è solo l’occasione per fare il racconto genuino e ahimè veritiero dell’identità attuale cosentina.
Dimenticate i quattro congiurati, che sono ingiudicabili, ma in fondo esecutori di un’azione ostile legittimata e sostenuta da tutte le componenti di Cosenza e in molti casi della Calabria.
È uno schieramento composito, con diversi ruoli e diverse responsabilità, ma convito o invitato o obbligato fare “squadra”.
Francamente con tutto il rispetto per la Fondazione Giuliani, mi pare eccessivo uno schieramento compatto come una falange romana e troppo incongruo rispetto alla “pericolosità” sociale e politica de ICalabresi, la cui evirazione per farlo diventare l’attuale house organ, non mi pare meritevole di una guerra modello Ucraina o Israele o Hamas.
Lo ha sottolineato una voce autorevole della Massoneria storica che ha tenuto a farmi sapere che l’origine del tutto era solo attribuibile all’inside.
Quello che emerge va ben al di là della Fondazione, che come hanno compreso tutti è destinata in una prima fase alla banalizzazione e all’irrilevanza che uccide dieci anni di lavoro e di investimenti economici. La truffa alla quale ha creduto una magistrata di Roma, credo in cattiva fede, messa in piedi dagli avvocati messi in campo come parafulmini dall’avv. Mungari, regista dell’operazione, cioè che il passivo di circa 4 milioni e più di euro fosse ascrivibile alla mia scellerata gestione, umanamente impossibile fino a quando Sergio Giuliani è stato in grado di fare un controllo euro per euro, cioè fino alla morte 2020.
Tutto al netto della mia nota onestà che mi è valsa da un lato l’inattaccabilità al tempo dello scandalo “lenzuola d’oro”, in gran parte inventato per far fuori il vertice di FS con Ligato in testa e poi con la vergognosa eliminazione di un manager come Lorenzo Necci (concordata tra magistratura e stampa, su committenza dei soliti Poteri occulti) e dall’altro lato le mie dimissioni a 54 anni per non essere complice dell’Amministratore delegato, poi condannato in primo grado, Cimoli.
La prima fase è stata felicemente avviata: siamo alle marchette sbandierate come come giornate della cultura, d’accatto, ultimo caso la presentazione di un libro su Morano.
La seconda fase, la spoliazione delle risorse immateriali e materiali era partita in quarta – fatta fuori la giovane Ausilio, colpevole di essere brava e non parente di WP (che come tutti è sparita dalla circolazione mettendo tra i “cattivi” anche me, “colpevole” di averla assunta regolarmente e difesa attirandomi l’odio della sua persecutrice seriale Catanese, come hanno fatto del resto i giornalisti de ICalabresi in modo ancora più sfacciato e irriconoscente. Hanno dato non volendo un pretesto a falsi amici per giustificare il passaggio nelle file “nemiche”).
La spoliazione prevedeva il licenziamento di Anna Cipparrone colpevole di un’eccellente direzione di Cosentia Itinera e di aver portato a casa per la prima volta fondi pubblici per circa 300.000 euro. Anche in questo caso aver reso pubblica la vicenda che ha impedito licenziamento o dimissioni forzose mi hanno procurato la solita abiura, la “sindrome di Stoccolma” per il quale i rapiti si innamorano dei lori rapitori.
Ovviamente intoccabili il genero e il nipote di WP. Pare in lista d’attesa qualche compagno, di vita, di rampanti signore.
Tutto questo è una vergogna che non può non essere imputata alla città, non tutta, non per una partecipazione attiva ma per omissione.
Domani uscirà un articolo su “giornali mai nati, su quelli uccisi, su quelli finalmente partoriti”. Credo che questo e altro non ancora emerso – il muro del silenzio e la gruviera della giustizia aiutano – aiutano ma non in eterno e quindi con evidente sproporzione “il cinghiale” attacca il sottoscritto e non mafiosi, corrotti o corruttibili, che purtroppo non mancano a Cosenza diventata con la definizione di Paride Leporaci, un bravo giornalista non mio amico “la città della ’ndrangheta”.
Un postscritto: oggi ho deposito domanda di revoca della giudice che con ordinanza sgangherata ha consentito tra l’altra alla copia de ICalabresi di pubblicare una notizia vera, ma nella sostanza falsa e illecita, con il titolo, a memoria, la Fondazione vince a tutto campo in tribunale. Un perfetto caso di sindrome di Stoccolma e di cattivo giornalismo.