La campagna elettorale per le elezioni amministrative di Vibo Valentia è iniziata con vari subbugli e smottamenti negli schieramenti tradizionali, accordicchi (al ribasso), vecchi volponi all’opera e dilettanti allo sbaraglio pieni di ambizioni, ma forse non di voti.
Si badi, non si tratta del solito circo (elettorale) di periferia, ma di una competizione con riflessi importanti sul piano regionale. Sintomo di questo è stato il gioco “di rimessa” (e di “strizza”) del deputato vibonese di Forza Italia Giuseppe Mangialavori, che prima dell’inizio della campagna elettorale si è dimesso da coordinatore regionale degli azzurri, con gioia del collega Ciccio Cannizzaro, lasciando con il cerino in mano la “sua” sindaca uscente Maria Limardo, oggi impegnata a tenere le redini di una coalizione scricchiolante.
Sul fronte opposto sabato 17 verrà presentato a Palazzo Gagliardi il candidato sindaco del “campetto” progressista, Enzo Romeo, primo Presidente della Provincia di Vibo Valentia nel 1995 e già candidato regionale di centrodestra nel 2000. Un candidato “amarcord” e borghese, (almeno) inizialmente inviso a quel che resta della base del M5S, costretta a ingoiare l’ennesimo amaro boccone per l’inefficacia politica di quella che potremmo chiamare nei partiti “classe dirigente”.
Ma come si è arrivati a questo? Beh, Il segretario regionale del Pd, Nicola Irto anche su Vibo ha fatto quello che fa di solito: niente; mentre il deputato vibonese del M5S, Riccardo Tucci che pure ha dimostrato un certo attivismo e una certa visione in questo periodo pre-elettorale (con tanto di convegni con Giuseppe Conte in collegamento), non ne ha azzeccata una.
Harakiri a 5 stelle
È proprio in casa 5 stelle che sono volati i lunghi coltelli che hanno portato gli ex auto-proclamatisi rivoluzionari anti-casta a fare un passo indietro su tutte le proprie idee e a “digerire” il candidato del Pd, “prodotto” di una vecchissima guardia.
Partiamo proprio da Riccardo Tucci, “Riccardino da Dinami” che, con molta probabilità, non deve aver preso l’acume politico dal cugino Danilo, consigliere comunale di Città Futura e futuro candidato consigliere di punta con la coalizione del “Terzo Polo”.
Tucci ha fatto l’errore capitale di fidarsi (nuovamente) del “suo” capogruppo nel consiglio comunale di Vibo Valentia, Domenico Santoro che alla prima occasione utile l’ha pugnalato (mandando a ramengo il tavolo delle trattative del centrosinistra) per un paventato posto da vicesindaco in caso di vittoria elettorale dei sinistri. Questo senza considerare che, avendo la figlia (Claudia Santoro “bell’ ‘e papà”) dirigente del settore bilancio del Comune, una sua presenza in una qualsiasi Giunta sarebbe foriera di potenziali conflitti di interessi praticamente in quasi tutte le pratiche, che non potrebbe mai votare e diverrebbe, nei fatti, assessore con delega all’astensione.
Tutte le tappe di un “suicidio” politico perfetto
Ma cos’è successo? Ricapitoliamo: Tucci lo scorso ottobre ha dato il finto pennacchio di candidato sindaco (da “sacrificare” appositamente al tavolo dei sedicenti progressisti) a Domenico Santoro, nonostante i suoi 5 anni di opposizione “flop” in consiglio comunale, con l’intermezzo di un suo altro “flop” alle elezioni regionali e dopo aver salvato l’amministrazione Limardo non votandole la sfiducia.
“Io dico che si parte da Santoro e si deve finire con lui. Se dovesse esserci un veto, intanto mi aspetterei motivazioni concrete e oggettive” dichiarava Tucci al Quotidiano Del Sud, fingendosi serio.
Nelle more, il “vero” candidato Sindaco “in pectore” per il M5S vibonese si è bruciato da solo. Un peccato perchè era una figura nuova e interessante. Si trattava del giornalista antimafia Pietro Comito (anche lui con un omonimo parente – consigliere comunale, candidato con la coalizione del “Terzo Polo”). Comito era, addirittura, pronto a svincolarsi da LaC e dagli annessi direttori anonimi. “a gennaio mi dimetterò comunque” amava ripetere Comito prima di far incazzare il sacerdote Filippo Ramondino che gli dedicò un’omelia di fuoco dopo un servizio de Le Iene sulle infiltrazioni mafiose nelle manifestazioni religiose.
A quel punto l’occasione era ghiotta per Santoro che non è nelle condizioni di candidarsi a consigliere comunale per non collezionare un ulteriore (e politicamente fatale) flop, dato che non lo voterebbero nemmeno i parenti. Il genero, Marco Mazzeo (figlio dell’ex capogruppo del Pdl, Mario, già coinvolto nell’operazione “Zuzù) è marito di Federica Santoro “bell’ ‘e papà” e si candiderà con Fratelli D’Italia.
Quindi, Santoro ha usato il finto pennacchio di candidato a Sindaco per “trattare” con il Pd per il tramite dell’ex assessore comunale Domenico Ruffo e ha “bruciato” la candidatura di Comito con dichiarazioni sibilline sulla stampa locale in tandem con l’esponente del Pd, Enzo Romeo.
Di tutto questo Tucci ne è stato all’oscuro e ora, dopo aver mangiato la foglia, sta cercando di evitare la debacle della lista pentastellata in termini di percentuali (magari avendo in prestito dallo stesso Romeo qualche candidato?). Ma mentre il deputato cerca sotto il tappeto della sede del “Gruppo Territoriale” un qualche residuo di legittimazione politica, il M5S vibonese si è dimostrato “santorocentrico”, con tutto ciò che ne consegue in termini di flop. Insomma, un harakiri su tutta la linea.
La trama di Lo Schiavo per la commissione di vigilanza
Secondo le malelingue politiche vibonesi, alle elezioni comunali di Vibo Valentia il consigliere regionale eletto con la lista di Luigi De Magistris, Antonio Lo Schiavo, vorrebbe evitare di presentare una propria lista, dovendosi “contare” e schierare candidati che, con tutta probabilità, non avrebbe. In ogni caso, lo stesso non manca, però, di rilasciare prolisse interviste e di fare capatine agli eventi degli altri partiti, trascurando (volutamente) il fatto di non averne uno.
Lo Schiavo, sempre secondo le citate malelingue, avrebbe un obiettivo: la commissione regionale di vigilanza e controllo, ridotta negli ultimi anni a scendiletto degli affari di Forza Italia sotto la guida del “pentastellato-chiacchierato” (!) Francesco Afflitto, divenuto presidente grazie ai voti del Pd regionale, all’epoca sotto la guida soporifera di Nicola Irto.
Ora le commissioni consiliare a Palazzo Campanella rinnoveranno le presidenze e difficilmente il Pd ripunterà su chi si è dimostrato platealmente (e non sottotraccia come loro) stampella di Roberto Occhiuto. Ecco perchè Antonio Lo Schiavo, soprattutto dopo che il Pd ha monopolizzato nuovamente l’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale, pensa di poter ambire e con successo a quella carica.
Ma per avvicinarsi all’agognato obiettivo ha agito con fare felpato: da un lato, ha contribuito ad affossare il candidato di Riccardo Tucci, Pietro Comito e ha dato l’endorsement per il candidato del Pd, Enzo Romeo e dall’altro si è garantito appoggi trasversali, come quello del segretario regionale di Azione, Francesco De Nisi.
Proprio con De Nisi, Lo Schiavo ha stretto una alleanza per le imminenti elezioni provinciali vibonesi, candidando nella lista di Azione il consigliere comunale di Pizzo ed ex candidato Sindaco, Emilio De Pasquale (suo zio!).
Piccolo particolare: pochi giorni fa è arrivata la commissione d’accesso antimafia nel comune di Filadelfia, governato (a vario titolo) dai De Nisi e dal fratello da più di un decennio.
Una questione non da poco dato che Lo Schiavo lo scorso ottobre ha revocato come componente interno della sua struttura l’ex commissario cittadino dell’Udc e attuale assessore di Stefanaconi, Fortunato Cugliari a seguito dell’arrivo della commissione d’accesso antimafia nel medesimo comune, guidato dall’ex Presidente della Provincia, Salvatore Solano, condannato ad un anno per “corruzione elettorale” in concorso nell’ambito del processo “Petrolmafie”. Reggerà, quindi, l’accordicchio?
Il Pd “colelliano” sogna il ballottaggio
In grande spolvero e galvanizzati dalla strategia elettorale vincente che ha portato ad imporre il proprio candidato sono gli esponenti del Pd di Vibo Valentia capeggiati dal segretario cittadino Francesco Colelli, deus ex machina della candidatura di Enzo Romeo.
La lista del Pd è pronta a fare da traino all’intera coalizione e Colelli, con la sua quarta candidatura comunale potrebbe passare da “pippa” di sinistra ad astro nascende della sinistra vibonese. I sintomi (positivi) di questo ci sono tutti, ma non può permettersi di fare errori. Riflettori puntati!
Altri candidati del Pd saranno l’uscente Stefano Soriano; l’ex consigliera comunale del Pd, Maria Fiorillo (cugina dell’“alecciano” Enzo Mirabello); l’ex esponente di Sel, Gernando Marasco, un’altra “alecciana” e ex candidata, Ketty De Luca; l’ex assessore comunale della Giunta Sammarco, Antonio Iannello; la vicesegretaria del Pd Provinciale e consigliera comunale, Laura Pugliese; il commercialista Antonino Ravenna ed il delegato del WWF Calabria, Angelo Calzone.
A dimostrazione ulteriore della svolta “amarcord” della sinistra vibonese vi è il fatto che per una lista civica di Romeo, il candidato di punta, ad oggi, è l’ex capogruppo del Pd (fino al 2015), Marco Talarico. Quest’ultimo non si ricandidò perchè indagato per estorsione e tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso in un procedimento della Dda di Catanzaro, dal quale uscì completamente nel dicembre del 2017 con una archiviazione per infondatezza di reato (su precedente richiesta della stessa Procura).
Nell’ottobre del 2017, però, due cooperative fondate da Talarico e operanti su Briatico nell’ambito dell’accoglienza ai migranti, la Monteleone 3.0 Società Cooperativa Sociale e la Cooperativa Sociale Monteleone Servizi, ricevettero l’interdittiva antimafia e la nomina, da parte dell’allora prefetto di Vibo Valentia, Guido Longo, di un amministratore straordinario e temporaneo.
Talarico impugnò al Tar i provvedimenti di interdittiva ma perse sia in sede cautelare che nel merito. Si legge nella sentenza del Tar Calabria n. 260 pubblicata il 20 febbraio 2023 si legge che: “come già rilevato nella provvisorietà della sede cautelare – sia di prime che di seconde cure – la prognosi svolta dalla pubblica amministrazione in ordine all’esistenza di possibili infiltrazioni di associazioni mafiose è da ritenersi non illogica nè irrazionale, tenuto conto del numero di rapporti con soggetti gravati da indizi di condizionamento mafioso, dal contenuto del quale possono desumersi elementi per ritenere l’esistenza di rapporti relativi all’attività svolta dalla stessa ricorrente e rapporti tra soci e amministratori della stessa con soggetti appartenenti alla criminalità organizzata” e che “emerge un quadro indiziario contraddistinto da plurimi e concordanti elementi sintomatici di infiltrazione mafiosa”.
Certo, la Monteleone si è fusa nel 2019 ed è stata riammessa nella “white-list”, mentre Talarico è rimasto incensurato e non indagato, ma, c’è da chiederselo, con Giuseppe Conte e il M5S che sventolano a livello nazionale la questione morale in faccia alla Meloni ogni due per tre, basterà tutto questo ad evitare imbarazzi?