Cosenza, fino agli anni ’70 almeno, era e appariva ai suoi abitanti una città, accogliente, vivibile, sotto la spinta del campanilismo, era considerata “la sola vera città della Calabria”. I pochi turisti e visitatori condividevano questo giudizio. Non aveva ancora l’Università, ma aveva il Liceo classico Telesio, che era ed ancora è una scuola con docenti prestigiosi – sentivo parlare io bambino del prof. Guido come una specie di icona. Ma attraverso mia sorella e le sue compagne di scuola che venivano di frequente a casa nostra a portare il profumo di una gioventù sana e bella, che non faceva distinzione tra chi aveva cognomi illustri e chi no, capivo che quella scuola era un vero fiore all’occhiello.
Per i cosentini era la città più bella della Calabria, senza se e senza ma. Erano tempi diversi, ma ricordo con quanta premura e affetto i cittadini controllavano che io a quattro o cinque anni stessi attento alle poche auto in circolazione andando da solo a via Monte Grappa, a casa della mia nonna adorata e a via Sabotino, dove abitava una nostra parente che consideravo una seconda mamma.
Quella Cosenza non aveva un giornale, se non un foglio mensile locale, non aveva un teatro, perché il Rendano era stato bombardato, era lontana dalla meta obbligata, Roma, per l’anno santo del 1950 o per sistemare in una residenza di monache o preti i propri figli che si iscrivevano alla Sapienza.
Certo tutto è cambiato con il passare del tempo, ma perché questo cambiamento è avvenuto in peggio? Perché i valori e le virtù genetiche o ambientali sono state scacciate, relegate in una zona grigia, lasciando alla ribalta il peggio. In politica, lontani i ricordi di Mancini, Misasi, Antoniozzi, Gullo e meno noto ma con pari meriti l’avv. Michele Cozza socialista entusiasta e generoso, non attratto da cariche nazionali e infatti fu solo per qualche anno il Vice Sindaco della città. Era un bravo avvocato, ma il tempo che dedicava alla professione era una frazione di quello che dedicava al PSI di Nenni.
Ora Cosenza è diversa, ed è ovvio, ma ha perduto l’innocenza. Sì, anche le città hanno un cuore che deve mantenersi puro, si può fare politica come servizio alla comunità, non come trampolino di lancio verso obiettivi anche poco trasparenti che escludono ogni beneficio per altri oltre che per sé.
La Massoneria che a Cosenza è sempre stata presente e forte era quella storica, di coloro che avevano donato se stessi all’idea di un’Italia libera e unificata. Molti sindaci erano massoni, ricordo il Sindaco della mia fanciullezza Clausi Schettino, niente da spartire con il massone Franz Caruso. Ma la massoneria non aveva nulla a che fare con la ’ndrangheta praticamente assente nel cosentino, che oggi senza lupara, ma con montagne di denaro da riciclare e far fruttare, è onnipresente nella sanità privata, nelle istituzioni locali, nella magistratura, ovunque ci sia un potere di cui abusare.
Dopo gli anni ’70, come vedremo, Cosenza si è progressivamente persa, ha scelto in tutti i campi la via dell’illegalità e della mediocrità. Sono le “pasticche” che allungano la vita ma la deturpano. Le persone normali subiscono ma non capiscono.
In questa città straziata e deformata sono tornato 4 anni fa.
Non mi aspettavo la Cosenza della mia gioventù e neanche quella della sindacatura di Giacomo Mancini, ma neppure lontanamente una Cosenza che merita la qualifica di “città ’ndranghetista (copyright di Paride Leporaci), incattivita, impaurita da un plotone di manigoldi. Non per timore, ma per sdegno e rabbia dopo la vergogna dell’assalto a Villa Rendano fatta su commissione da 4 manigoldi infedeli e la chiusura del primo giornale libero, diffuso e letto ovunque. Questo è solo l’inizio – forse provvisorio – di una specie di libro nero non su Cosenza, ma su questa irriconoscibile, cialtronesca, incolta Cosenza anno di grazia 2024.