Qualche mese fa su La Repubblica fu pubblicato un articolo di Corrado Augias titolato: Rovesciare l’immagine e la realtà della Calabria”, il cui senso era spiegato nelle prime parole dell’articolo: Rovesciare l’immagine in un’epoca come la nostra vuol dire cominciare a rovesciare anche la realtà.
Il giudizio di Augias non piacque a molti calabresi che reagirono ritualmente, vuol dire con gli stessi stereotipi che si rimproveravano al giornalista. A lui che ricordava i mali noti e conclamati della nostra terra, la ’ndrangheta in primo luogo ma non solo, rispose il Sindaco di Rosarno Giuseppe Lavorato che animato dalle migliori intenzioni ricordava le piaghe della Calabria – non proprio una sua promozione – ma aggiungeva anche che c’erano state lotte dei braccianti e dei contadini contro il latifondisti, battaglie, minoritarie, per la difesa dell’ambiente e concludeva con il sindaco Mimmo Lucano di Riace celebrato nel mondo come modello per accogliere ad un tempo i migranti e con loro ridare vita a decine di paesi abitati solo da vecchi e pensionati.
E qui Lavorato fece il classico autogol. Aveva dimenticato che Lucano era ammirato fuori dalla Calabria, ma nella sua terra era stato condannato ad una pena, in primo grado, che definire spropositata e vendicativa è poco. Lucano si vide quasi assolto in appello lontano dal Tribunale di Locri e a conferma che i suoi compaesani non lo avevano apprezzato elessero un sindaco che era il suo contrario.
Non intendo dilungarmi sulla polemica sollevata da Augias, ma fare qualche considerazione su una serie di equivoci o addirittura di castronerie con la quale la Regione Calabria, con diversi Presidenti, ha mostrato di non sapere che un corpo imbruttito non diventa attraente con un trucco ben fatto e con un abito del sarto preferito da Roberto Occhiuto.
La Calabria è piena di bellezze naturali, ha un’estensione di verde e di natura incontaminata tra le maggiori, tratti della costa meravigliosi. Tutto questo grazie alla generosità del Creatore.
Ma sempre la Calabria ha la maggior parte della costa tirrenica centrosettentrionale massacrata da un’edilizia sciatta e speculativa, così anche la costa jonica settentrionale, il lido di Catanzaro che nei miei ricordi è o era un capolavoro di devastazione. E tutto questo non lo si deve al destino cinico e baro ma a speculatori nostrani, incolti, indifferenti ai guasti permanenti e irreversibili che con le loro casette stile saraceno hanno inferto alla nostra terra e alle sue prospettive turistiche.
Vi risparmio l’impraticabilità di molti territori sui quali dominava e domina la vecchia mafia delle lupare e un tempo dei rapimenti.
E per non peccare di parzialità aggiungo Cosenza che da Atene della Calabria ora è ed è chiamata “città ’ndranghetista o massomafiosa, che è la stessa cosa.
Nel libro che non da solo sto scrivendo, e di cui presto vi farò conoscere la copertina ed il titolo, entrambi provvisori, il sentimento che mi accompagna mentre scrivo è un misto di dolore, vergogna e rimpianto. Cosenza, la città non della mia infanzia ma quella prima della cementificazione degli anni ’70 e il contestuale abbandono del centro storico – con la parentesi non risolutiva della sindacatura di Giacomo Mancini – oggi è scomparsa.
La qualità della vita e la stessa tutela della bellezza urbana non sono compatibili con una politica men che mediocre, con Sindaci di cartapesta, con una presenza di massoneria deviata che ha infiltrato e inquinato buona parte della borghesia professionale e imprenditoriale.
Come ha pensato di rimediare la Regione Calabria? Con campagne pubblicitarie oscene e controproducenti, con l’illusione che basti un volto piacente di un attore o di un’aspirante attrice per fare il miracolo.
Questa volta rivendico la mia esperienza professionale nelle Ferrovie dello Sato perché tra le varie competenze ebbi anche quella di far partire le prime quattro campagne pubblicitarie.
Anche in quel caso sulla responsabilità del dirigente prevalse all’ inizio la pervicacia e l’arroganza dei politici che componevano il CdA presieduto da Ligato.
Ricordo la pagina apparsa su tutti i quotidiani italiani il 2 gennaio del 1996 che annunciava la nascita dell’Ente, non più Ministero, delle Ferrovie.
Il testo che era stato preparato dalla mia squadra e che non lesse nessuno era molto sobrio, con un taglio eminentemente informativo. Il titolo imposto dai politici inventati amministratori della più grande azienda italiana fu invece celebrativo ed enfatico: Signori si parte! Era una frasetta che si poteva completare, come avvenne in molti modi: si parte in ritardo, si parte schiacciati come sardine ed altre meno pronunciabili amenità.
Cosa hanno prodotto le tre campagne milionarie volute da tre diversi presidenti di Regione? Tre campagne sbagliate, dannose, costosissime, non viste quasi da nessuno, per fortuna, la prima con i Bronzi di Riace che si azzuffavano come due delinquenti, quello di Muccino invedibile e diffamatorio con i suoi asini e contadini con le coppole, il terzo e ultimo non lo spot di promozione della Calabria ma della Gregoraci alla guida di una decappottabile rossa con le chiome nere al vento con un costo totale che è pari ad oltre € 4milioni gettati al vento, appunto.
Una conclusione tecnica non interessa a nessuno. Allora la dico in cosentino: Ciucci e presuntusi! E i sordi iettati? Chi minni frica tanto nun su’ mmia.
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Condivido, ma non so proprio come invertire la rotta. Sono decenni che siamo sotto una classe dirigente ignorante, arrivista, che non ha amore per la propria terra, che pensa ara sua sacchetta