Copertina e titolo provvisori.
La Calabria la si conosce poco. Questo accade anche ai calabresi che, se vivono nel sud della regione, considerano il nord calabrese, con Cosenza, con una buona dose di estraneità.
È più facile e comune dichiararsi e sentirsi cosentini o catanzaresi o reggini che calabresi. Ci sono questioni di campanile che pesano (come ovunque del resto), c’è per pochi il ricordo della passata divisione in Citeriore e Ulteriore, ma c’è o c’era anche una marcata diversità tra le allora tre città capoluogo.
Come scrive Vittorio Mete (Viaggio in Italia – Racconto di un paese difficile e bellissimo, Ed. Il Mulino) “I tratti immutabili della calabresità dunque non esistono. E anche quelli che sono indicati come tali sono impietosamente frantumati dall’irrompere della modernità (…) Davanti a queste profonde trasformazioni e frammentazioni dei quadri culturali di riferimento si faticano a trovare elementi in grado di accumunare davvero la Calabria e i calabresi”.
Questo libro scritto da un cosentino, che ha amato la città dov’era nato e che aveva lasciato per una mai accettata emigrazione a Roma e che era tornato a viverci solo 4 anni fa, e da un milanese amico e conoscitore profondo e generoso della Calabria vuole smetterla con i luoghi comuni e guardare e raccontare la realtà odierna di Cosenza e per molti aspetti dell’intera Calabria.
L’amore per la mia città natale, che aveva resistito immutato per diversi decenni, s’è di molto affievolito, la convinzione che qui per le mie radici avrei potuto concludere la mia vita, in serenità e “in famiglia” è stata spazzata via.
Chi vorrà leggere questo libro ne conoscerà il motivo. In sintesi, la scalata ostile di una Fondazione privata che aveva salvato dall’abbandono la Villa della famiglia del compositore Rendano e creato un polo culturale civile e museale multimediale di livello almeno nazionale e a seguire la chiusura del primo giornale di inchiesta libero e non manipolabile accompagnato da un successo imprevisto per opera di quattro falsi amici che hanno goduto dell’appoggio, della copertura di tutte le istituzioni, dell’Unical, della massoneria deviata, qui potente al punto da essere decisiva nella recente elezione del Gran Maestro del GOI, dell’informazione gregaria.
Quindi chi ama la Calabria, chi ricorda come Cosenza celebrava e onorava la sua storia antica e rilanciava la sua “diversità”, dal dopoguerra almeno fino agli ’80 e in parte ’90, sarà amareggiato come lo siamo noi autori nel sapere che oggi Cosenza non è più chiamata “l’Atene del Sud” ma la “città ’ndranghetista”.
È una forzatura? È una volontà denigratoria? Sì, ma solo in parte.
Partendo dalla realtà e non dalla memoria elegiaca siamo stati obbligati – proprio perché amandola si possa aiutare la città e con essa la regione tutta – occorre un’operazione verità che dia forza e occasione di incalzare gli attori protagonisti di una venefica trasformazione.
Da questo punto di vista questo libro non è assimilabile ad altri pure di grande interesse. In questo caso la lettura, la conoscenza specie da parte dei calabresi non rimasti nella loro terra, l’indignazione per questa “perdita di innocenza” di Cosenza, voluta da pochi ma accettata passivamente da molti, da troppi cittadini timorosi, saranno d’aiuto – più e meglio delle istituzioni anche nazionali – a mettere alla berlina i “cattivi attori” e i “pessimi maestri” e con il tempo che occorrerà essi saranno obbligati a non sentirsi invincibili ed eterni.
La Calabria sarà quella celebrata magnificamente dal poeta Leonida Repaci e Cosenza, dismesso il barbaro Alarico, sarà la città del filosofo Telesio che creò la prima Accademia in Europa.