Usiamo la parola “voto” come se di tipo di voto ce ne fosse uno solo. Potremmo dire scimmiottando Cartesio “voto ergo sum”, cioè grazie al voto, da noi di riffa e di raffa almeno una volta all’anno, io esisto. Non ho niente di più e niente di meno dei votanti triestini o di quelli bolognesi, e siamo quasi alla pari con i votanti della Campania e della Sicilia.
I voti, tutti i voti, in Italia sono – come dire – “amputati”, nel senso che puoi mettere una croce su un simbolo che a capirlo ti dice se è di un partito di destra o di sinistra – questo è molto più raro – o di centro che non è né di destra né di sinistra, è la soluzione meno impegnativa, meno pericolosa dove tutti sanno tutto. Maestro del centro è stato per 50 anni la Democrazia Cristiana, che la sua destra e la sua sinistra li teneva ma dentro la pancia “di balena” in modo che nessuno provasse imbarazzo a votarla.
In realtà quando scoppiò il casino di Mani pulite tutti i commentatori RAI che erano abituati a leggere un foglio in cui c’era una maionese impazzita tra dichiarazioni di presunti leader o comunicati, meglio veline, preparate direttamente dai partiti sicché il giornalista era piuttosto uno speaker, uno che leggeva a voce alta davanti ad una telecamera, le cose si complicarono assai.
Io questi “lettori” li conoscevo bene perché dovendo occuparmi di comunicazione, addirittura direttore di tutte le pubblicazioni delle Ferrovie (compreso l’orario ferroviario, come ci fece sapere la direzione competente della Presidenza del Consiglio) li sentivo o li vedevo dal vivo anche una volta al giorno.
Quindi posso dire che quel che scrivo è innegabilmente vero – e già questa è una bizzarria -.
Dunque per esempio c’era il notista politico del GR1, Andrea e non ricordo il cognome, il quale con la sua voce chioccia ogni santa mattina recitava la sua solita nota politica che anticipava con meno qualità lo “stile Vespa” cioè dire e non dire, fare intuire ma non capire e cosi campi da milionario 100 anni sei un perfetto padrone di casa televisiva per tutto lo schieramento politico, che infatti si sbraccia per essere invitato nel suo salotto.
Ma torniamo ad Andrea che per non far torto a nessuno si inventò la formula “ma anche” che funziona sempre. Il mio bravissimo professore di Filosofia preferiva un’altra formula pur’essa efficace: “In un certo senso”. Insomma se non è zuppa è pan bagnato.
Sto divagando, ora riporto più o meno un commento di Andrea che non sapeva che pesci prendere: “La DC che è un partito di sinistra perché promuove la cultura sociale cattolica, ma è anche di destra perché vuole che il nuovo sia sempre accompagnato dal vecchio, a dosi variabili, ma poi è anche di centro perché è amante dell’equilibrio tra i diversi”.
Perfetto giornalismo che piace a tutti, non ti fa correre rischi – ad esempio non ti fanno fuori da direttore del giornale ICalabresi che hai fondato e guidato con successo – insomma è l’ideale per un popolo nomade nel senso che passa da destra a sinistra secondo convenienza e per riposarsi sosta il tempo necessario al centro dove si accucciano i peones.
Già questo – come vedete – dimostra che la parola “voto” da sola non basta.
E infatti laddove c’è una popolazione che si informa, riflette, decide con consapevolezza insomma usa il proprio cervello o “libero arbitrio” le cose vanno decisamente meglio e infatti il voto nel centronord italiano viene chiamato “voto di opinione”. Mica bazzecole.
Ma nel resto d’Italia in genere nel Sud e come al solito specie in Calabria il voto d’opinione manco sanno cosa sia. D’altra parte come fai ad avere un’opinione se ti spagni del mite Occhiuto e del più mite cioè inutile Franz Caruso della Bruno Bossio (che per la verità con gli occhialini e la faccia sempre incazzata fa spagnare i più deboli di cuore)?
Quindi voto d’opinione manco a parlarne e allora come lo chiamano gli italiani che un’opinione giusta o sbaglia ce l’hanno e quindi votano meno a “ caz.. di cane”? Lo chiamano “voto a pacchetti” o voto di scambio: un voto a te e un favore a me.
Che vuole dire che se te lo chiedono per piacere o anche per una ventina d’ euro il voto lo dai al primo venuto, in genere un figlio di ’ndrocchia, un boss paramafioso, uno che in ogni caso pensa solo ai caz.. suoi.
Tu pensi che sia un’esagerazione? Magari, è la pura verità e siccome pacchetti o non pacchetti non voglio “uscire dal mio orticello” che ho sentito dire da un ex Sindaco che per definizione dovrebbe occuparsi dell’orticello di tutti che fai? Ti cauteli fino al patetico o al ridicolo.
Presentano un libro su Morano per volontà della vice presidente della Fondazione (premiata per la sua cattiveria) a Villa Rendano, una specie di antro scuro che non si vede se non con le luci accese al massimo vai sul tranquillo. Che cavolo Morano non è Corleone! Se invece presentano un libro che parla di buchi neri e stelle calabresi c’è la fuga perché “non si sa mai”.
Domanda finale: ma che cavolo è diventata Cosenza, chi ha sparso il terrore? La massoneria + ’ndrangheta? Ma veramente pensate che possa durare a lungo questa situazione e sarà tollerata dai giovani che oggi scappano in 35mila all’anno, tra poco saranno 100mila, poi 0 perché non ce ne saranno più a disposizione.
2 Comments
Sono molto d’accordo con lo scrivente.
Sono abruzzese fuori sede e leggere queste parole,mi viene un po’ il magone
Ma davvero nel sud non sono capaci di manifestare un voto d’opinione? Io credo di sì,sono capaci di esprimere un voto d’opinione,!
Due cose: Se ognuno votasse secondo scienza e coscienza, oggi non saremmo in queste condizioni. Il “do ut des” fa parte del dna dei cosentini,in particolare. Basta fare una verifica in Regione, Provincia,Comune,Ospedale,Università,Scuole in genere,poste ecc. e ti rendi conto che sono quasi tutti ” per chiamata diretta”,ossia senza concorso. Ai figli del “do ut des” degli anni 70 ,sono subentrati i nipoti e pronipoti magari cambia il nome ma il cognome rimane quello del “do ut des” originale. Negli anni 70 nelle segreterie, covi della politica mafiosa, vi erano lunghe file per essere ricevuti dal “segretario”, il quale creava un fascicolo a tuo nome nel quale annotava le tue “peculiarita’”, da presentare al “califfo” di turno, con in bella evidenza il numero dei voti che potevi garantire per le imminenti elezioni, in base alle quali potevi agognare ad un posto di lavoro. E dunque specie nella sanità, ci siamo ritrovati infermieri con un attestato della Regione che asseriva la tua professionalità senza sapere nulla del suo nuovo lavoro. (In tal proposito ci fu uno scandalo in tal senso) che poi finì a tarallucci e vino.Infermieri a capo sala, medici professori e via di seguito. Conosco persone nipoti del “do ut des” che si atteggiano a verginelli facendo finta di non sapere che loro sono figli ” legittimi” di questo sistema. Avrei mille cose da dire ma mi fermo qui. Rischierei di non essere letto o di essere mandato a fare in culo! Gradirei un segno di risposta.