Come è naturale che sia, ma non per questo accettabile, i cosentini e i calabresi in generale hanno a cuore il proprio interesse personale e familiare e tra una vasta pianura dove vivono in tanti preferiscono occuparsi del “proprio orticello” come chiamano il proprio individualismo per dargli una parvenza di accettabilità ecologica.
Non l’ho scoperto io, è scritto in molti libri di sociologia e di antropologia sociale, fu scritto da un ricercatore americano molti decenni orsono che non si capacitava, viaggiando in Basilicata, perché le case all’interno, anche povere, fossero ben curate e lustre, mentre la facciata esterna era sbrecciata e mai tinteggiata.
Se una cosa accade ci deve essere un motivo, ma poiché di motivi per NON fare ce ne sono a migliaia a Mondovì come a San Fili a noi la storia dell’orticello non va proprio giù. Non è che accada solo da noi nel sud e in Calabria in particolare.
Ricordo una missione per conto delle Ferrovie italiane in Albania da poco liberatasi dal comunismo, a Durazzo.
Sulla spieggia mal tenuta e sporca s’affacciavano ristoranti e alberghetti modesti. Un addetto spazzava via dall’arenile le montagne di rifiuti abbandonati dinanzi alla sua baracca ma non li raccoglieva, come sarebbe stato logico, li spostava sull’area della baracca accanto. Nessuno si scandalizzava e anche il vicino che avrebbe potuto prendersela a male faceva la stessa cosa, il trasferimento al vicino delle sue monnezze.
C’è qualcosa che abbiamo in comune con gli amici albanesi, almeno quelli di 20 o 30 anni fa.
Ora se si dovesse discettare del perché e del per come questo avvenga anche da noi, non il trasferimento dei rifiuti, ma la cura solo per le proprie cose, potremmo riempire tutta la pagina de I Nuovi Calabresi.
Ma a me le teorie fuori dalla realtà non piacciono. Se ciascuno “si fa i fatti suoi” e ignora i fatti di tutti, che sono poi anche suoi, io penso che sia un miope egoista, che concorra con la sua inerzia al degrado della sua terra e all’irrilevanza dei suoi conterranei che rispondono realisticamente non cercando di raddrizzare le gambe ai cani ma andandosene via dalla Calabria, dove in genere tirano fuori il meglio di sé.
Ora mettetevi nei panni di un cosentino come me che era “tornato” a casa dopo oltre 60 anni anche per gestire e completare un’opera bella ma ambiziosa voluta con entusiasmo ingenuo dal cugino Sergio Giuliani.
Non intendo parlare di ciò che è ampiamente noto ma di cose ignote o poco note, insomma uno sguardo “dietro le quinte”.
Come pensate che il fratello e gli altri parenti abbiano reagito alla decisione azzardata e più impegnativa di Sergio Giuliani per volontà del sindaco Occhiuto?
Male o malissimo. Tutti hanno pensato che la speranza di avere un robusto legato ereditario si affievoliva, che le gratifiche robuste che SG dava a cugini o “amici” in genere più che benestanti in cambio di qualche invito a pranzo, sarebbero finite.
E per la verità in molti casi questo è avvenuto. Non per il fratello che non so come (in realtà lo so benissimo e ci sono tre richieste indirizzata ad Unicredit a Corso Mazzini che s’è ben guardata di dare risposte chiare e veritiere, anche ignorando una sollecitazione della Banca d’Italia) è riuscito a far passare l’idea che tutti i soldi di Sergio in realtà fossero i suoi, che lui era non contrario alla Fondazione che per mesi fece credere fosse una sua opera, ed infine che era “quasi indigente” – per privacy non aggiungo altro – trovando una brava persona ingenua e per bontà credulona che come mi disse era andato a Roma a “piangere miseria” a nome e per conto di… tornandone con un assegno di un milione che aveva depositato presso la Unicredit.
A mio parere SG con i suoi soldi aveva il diritto di fare ciò che gli piaceva – senza scegliere tra persone che s’erano spese per lui e altri solo beneficiati.
C’è stato di sicuro una forma di circonvenzione da parte della “badante” rumena che ha incassato un legato di 1.600.000,00 – e sulla quale avevo chiesto di indagare in Romania giacché di essa non si sapeva nulla – ma anche qui l’avv. Manna che si doveva occupare della faccenda (era tempo di Covid) scelse degli improbabili 007 che somigliavano al gatto e la volpe.
Fu allora che chiesi all’avv. Mungari, non ancora traditore di chiedere ai parenti stretti – tutti già ben forniti – se erano disponibili a prendere il mio posto, per la grave precarietà delle mie condizioni di salute, il ruolo di amministratore di sostegno che avevo svolto per Atto notarile del 10.11.2010. Nessuno rispose. E siccome Sergio, senza cattiveria, non aveva il senso della riconoscenza mi ignorò nei due testamenti 2012 e 2017.
Solo quando capì che almeno un grazie (per tante cose) me lo sarei aspettato propose una donazione che accettai purché fosse fatta con atto pubblico (e di cui si penti il giorno dopo inducendomi a scrivere al notaio per pregarlo di non registrare l’atto, cosa che non fece dicendomi una bugia colpito dalla mia fessaggine) NdR la lettera è disponibile in atti.
Tra decine di parassiti che avevano avuto gratificazioni ben più sostanziose la mia donazione, la sola fatta con atto pubblico, è stata considerata come stipendio mai percepito in 12 anni di lavoro per la Fondazione. Una vera bestialità giuridica che persino l’avv. Salvatore Perugini finse di prendere come vera facendo non la parte del difensore retribuito ma quello dell’accusa.
Tutto utilizzato in mala fede da Walter Pellegrini, Santo Mungari e i redattori de ICalabresi. La mia colpa è stata quella di non aver voluto né retribuzioni né lasciti ereditari. Una colpa in un mondo alla rovescia. E Cosenza è una città anch’essa alla rovescia.
Qui finisce non la storia nota ma quella del retrobottega della storia che continuerà perché essa è stata la causa, non la sola, che ha giustificato la denuncia penale per vessazione e diffamazione già all’esame abbreviato della Procura della Repubblica di Roma.
Pentito di aver aiutato in tutti i modi possibili Sergio prima della Fondazione e dopo con la Fondazione? No di sicuro per il “prima”, un no stentato dopo.
Perché forse sono un illuso, qualcuno dice uno “troppo buono” che non è un complimento, ma credo che io “non lascerò una traccia importante” – come disse tanti anni fa un “veggente” studiato per le sue doti profetiche, non un cialtrone – ma di sicuro la lasceranno i pavidi, i traditori, gli spergiuri, i malvagi che in questa storia, quella del palcoscenico e quella del retrobottega, la lasceranno, peccato sia di letame, che notoriamente non è il massimo per una città che sembra abbia perso l’anima.