Questo articolo “temerario” non può che iniziare con la domanda del titolo. “Può un quisque qualunque, semplice cittadino della Repubblica, chiedere se oggi in Italia, nella Giustizia italiana, esiste un caso Gratteri?
Come si dice, “chiedere è lecito, rispondere non è obbligatorio”.
E allora fatta la domanda “temeraria” – posto che altre domande molto meno temerarie, ma legittime e banali non hanno ricevuto né risposte né un briciolo di attenzione – spiego il senso della mia presuntuosa curiosità.
Premetto che le poche volte che ho incontrato il Procuratore ne ho tratto l’impressione di persona cortese e disponibile. Ma questo fino a quando un suo “amico” con altri al seguito, a fine maggio 2022 ha deciso di appropriarsi come se fosse cosa sua della Fondazione Giuliani, della sua Villa Rendano per saccheggiarla e distruggerla, e dulcis in fundo dichiarare con una vera bestemmia che il giornale ICalabresi – forse il progetto editoriale migliore e unico di libero giornalismo nato in Calabria – “era un danno per la Fondazione”.
Ora che un emulo mediocre di Alarico faccia un’affermazione tanto criptica quanto falsa non è cosa da poco. Ma questo in genere in tutt’Italia, non ancora asservita al modello Trump. Non a Cosenza, non in Calabria, dove infatti in pochi giorni tutta la ciurma s’è data a gambe all’aria, ha cancellato ogni traccia della sua presenza a bordo, e come nella migliore tradizione, da Giuda a Pietro, ha cominciato a dire, urlare e scrivere “Io con Franco Pellegrini, quasi omonimo del similAlarico? Mai, mai visto e sentito”.
Questa è una specie di introduzione titolata “Quando i topi scappano”.
Ma a me dei topi interessa poco, molto di più Gratteri. I primi sono un po’ repellenti, l’altro Gratteri oggetto di culto è altro, molto altro.
Ma una domanda se la fai ti obbliga a chiedere prima a te stesso, poi ad altri, infine agli interessati che “cacchio c’entra Gratteri con il casino nauseabondo di Walter Pellegrini e soci”?
Dopo aver molto divagato il caso ha voluto che capissi cosa avesse ispirato “le alate affermazioni” di un editore che non c’entra nulla con il papà Luigi, fine intellettuale e persona di specchiata onestà.
Mi sono ricordato che Antonio Nicaso, un amico fraterno di Gratteri, coautore dei numerosi saggi sulla mafia del Procuratore che gira per l’Italia tutta come la Madonna pellegrina per promuovere ad un tempo i libri e se stesso, era stato incaricato dalla Fondazione da me presieduta – con il mio pieno consenso – di far nascere un mensile cartaceo d’inchiesta. Il nome della testata non mi convinceva, Calavrìa, ma non per questo uno si mette di traverso. Per onestà debbo dire che l’idea di fare un mensile cartaceo era una cosa balzana da secolo scorso e il responsabile ero io allora settantenne.
Neppure sapere che la diffusione (che è cosa ben diversa dal numero dei lettori acquirenti) sarebbe stata al massimo di 6000 copie annue e che il costo pel la Fondazione sarebbe stato almeno pari a € 200.000 mi aveva allarmato.
Fino a quando viene presentato il cosiddetto “numero 0”, il numero di prova. Finalmente l’ho trovato tra mille documenti e nei prossimi giorni lo farò vedere. Il Cda con me in testa lo vide, lo giudicò, lo bocciò. Gesto temerario per Walter Pellegrini, amico di Nicaso e di Gratteri soprattutto, che spiega quella frase criptica che ho citato prima. A nulla è valso che su richiesta di tre membri su 4 del CdA accettai, di mala voglia, di provare io a fare il giornale d’inchiesta questa volta on line, quotidiano e non mensile e con un budget di € 160.000. Inutile ricordare che in un anno aveva avuto 2 milioni e mezzo di lettori sparsi in tutt’Italia, che la pagina Facebook aveva 30.000 seguaci e che il valore certificato della testata era di € 250.000. “Danno era e danno doveva essere definito” per non fare incazzare – nella fantasia di Walter Pellegrini bene inteso – il superprocuratore Gratteri. Non so se lui effettivamente si sia incazzato, certo non è diventato mio amico e a domande “egli non rispose”, al contrario della sciagurata monaca di Monza de I promessi sposi.
È questo che fa nascere “il caso Gratteri”? No, certo che no, ma insomma qualche segnale lo ha dato. Per quel poco che conta io sono stato fatto oggetto di un’azione diffamatoria, persecutoria, fatta di falsi monumentali – poco mancava che mi accusassero di aver rubato una reliquia del mio amatissimo san Francesco da Paola. Si sono limitati a puntare sulla mia stranota cattiva salute che mi aveva fatto tornare a casa, Cosenza, dopo 68 anni (obiettivo mancato ancora di poco essendo vivo ma invalido grave al 100%), a spendere decine di migliaia di euro a vuoto fino a quando mi sono ricordato di essere anche avvocato, un buon avvocato, quanto meno corretto con me stesso, e di poter perdere il processo principe con sentenza imminente solo se una manona sudicia riesce improbabilmente a camuffare e falsificare “le carte” come già fatto in precedenti occasioni.
Ma questa era solo un’introduzione, il racconto sul Caso Gratteri inizia con la prossima puntata. Spero giovedì al ritorno da Roma.