Con gli ultimi articoli siamo partiti dal convincimento, che dai commenti ricevuti trova molti d’accordo, che è tempo di cercare e applicare soluzioni serie e rigorose ai problemi del nostro Paese in una delle stagioni più complesse e rischiose a livello globale.
Con lo sguardo rivolto, come è naturale, alla nostra condizione di calabresi e alla nostra regione, che vive da decenni in una spirale di crisi sociale, economica, politica e culturale che in tempi difficili come questi si fa più evidente e pesante, voglio credere che la politica nazionale abbia deciso di (provare a) abbandonare la strada delle formule magiche, degli slogan inconcludenti, dei luoghi comuni, insomma quella strada che in modi e con protagonisti diversi ha seguito, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti, almeno nell’ultimo trentennio.
Forse con una sottolineatura eccessiva ed una tempistica troppo breve, ma poiché gli eventi in politica, in genere nei contesti strategici della nazione, si identificano con nuovi protagonisti che “prendono la scena”, ritengo come molti che le due donne che con ruolo istituzionale o solo politico e partitico rappresentino due novità e possano essere il segno che si vuole o ci si propone di cambiare “radicalmente” direzione di marcia.
Con attenzione soprattutto alla Calabria e a Cosenza temiamo però che “tutto cambi perché nulla cambi”. Si fanno scendere di qualche gradino i politici che contano da decenni ma le regole del gioco ampiamente truccate restano le stesse.
Perché con le persone occorre considerare altri fattori: la politica come servizio alla comunità o solo pratica del potere, di ogni genere e importanza; la coerenza dettata dalla fedeltà alle idee e ai valori conclamati o solo apparenza. L’elenco potrebbe essere lungo.
Ma poi ciò che fa la differenza è la qualità e la serietà dell’impegno politico. E qui il piatto piange.
Riprendo alcune parti di un articolo di Giuseppe Alberto Falci pubblicato su Huffpost nel 2020, alla vigilia delle elezioni regionali che videro eletta la povera Jole Santelli. Il titolo non lascia equivoci: Trasformisti riciclati e “travestiti” alla caccia di un seggio in Calabria.
Traggo fior da fiore (avvertendo per onestà che il fenomeno di cui si parla non è solo calabrese ma è soprattutto calabrese).
Trasformisti all’arrembaggio. C’è di tutto nelle liste del centrodestra in Calabria: ad esempio, c’è chi da Rifondazione comunista in un amen si è ritrovato nel centrodestra. È Vito Pitaro, di Vibo Valentia, un trascorso da consigliere comunale del fu partito fondato da Fausto Bertinotti, e oggi folgorato da Jole Santelli, che della raccolta indifferenziata di personale politico ne ha fatto uno dei punti del programma. Si tratta insomma di comparse e figuranti per la gioia dell’eterna farsa politicante. Dove essere campioni del trasformismo o possedere nel curriculum un’indagine per concorso esterno in associazione mafiosa rappresenta una nota di merito
Eppure, scorrendo le molteplici liste che affollano il centrodestra, c’è un nome che salta all’occhio: Giuseppe Neri. Quest’ultimo, classe ’72, di origini canadese, proviene dal centrosinistra, ed è cognato di quel Nico D’Ascola, già senatore Pdl, poi alfaniano al punto da seguire Angelino nelle fallimentari esperienze del Nuovo Centrodestra e di Alternativa popolare. Ma dicevamo di Neri. Il quale è stato infatti eletto nel 2014 con i Democratici e Progressisti raggranellando oltre 5 mila preferenze. Poi un passaggio nei moderati per la Calabria, cartello che stava a metà fra la destra e la sinistra, a seconda del sentiment, infine l’ultimo salto della quaglia il passaggio con la destrissima Giorgia Meloni che lo ricandida al consiglio regionale.
Certo poi ci sono gli evergreen. Inamovibile è Tonino Scalzo. Eletto nel 2014 al consiglio regionale fra le fila del Pd con circa 13 mila preferenze, a un certo punto Scalzo si stacca, fa nascere una stampella dal titolo evocativo “i moderati per la Calabria”, che circa un anno fa lascia la maggioranza di centrosinistra e decide di approdare nel centrodestra. E oggi Scalzo è una delle punte di diamante dell’Udc a sostegno, manco a dirlo, di Jole Santelli. Stesso destino per Franco Sergio, anche lui “compagno” di Scalzo nel gruppetto consiliare “Moderati per la Calabria”, e a sua volta eletto nel 2014 nella lista “Oliverio presidente”
L’articolo di Falci guarda al centrodestra perché nel 2020 come nel 2022 la sua vittoria era data per sicura, senza troppa sofferenza dalle parti del centrosinistra, che in sede nazionale e locale ha dimostrato che pur perdendo le elezioni qualche poltrona nel Governo per nove lunghi anni l’ha sempre trovata.
Cosa ci fa temere questo continuo e sconfortante “giro di giostra”? Che è possibile che le due leader riescano a realizzare i rispettivi programmi, possano cambiare molti nomi a livello centrale, ottenere questo in misura discreta in molte regioni, ma così stando le cose è assai improbabile che l’operazione chirurgica radicale che è indispensabile per la Calabria possa riuscire.
Bisognerebbe tagliare interi alberi non un po’ di rami ma in questo caso i “sempreverdi in veste di ecologisti” farebbero, tutti uniti, un gran casino, che è poi una specie di brand per la politica calabrese.