Tutta l’Italia parla di Napoli e del Napoli, del riscatto e rilancio della città e del terzo scudetto vinto dalla squadra di calcio.
È giusto che la gioia e l’orgoglio dei napoletani siano comuni e indirizzati ad una città che è unica, nel bene e nel male, nella generosità dei suoi cittadini che non fa distinzione tra i bassi dei vicoli e i quartieri vista mare di Posillipo e oggi, anche e soprattutto, alla squadra di calcio. Non esiste alcun elemento identitario che abbia la forza di cogliere e rappresentare l’insieme dei valori e anche dei disvalori di una comunità come il calcio. Ha ragione Saviano sul Corriere del giorno dopo la conquista del trofeo quando scrive che, con lo scudetto che sarà riprodotto in mille modi diversi come un oggetto di culto, “Napoli è tornata ad essere una comunità come ai tempi di Diego” grazie all’allenatore Spalletti, toscano, “costruttore di comunità, indifferente al clima che si respira, anche il più avvelenato”.
È troppo per un risultato sportivo? Chi se lo chiede vuol dire che non sa nulla di calcio, anzi citando Mourinho “Chi sa solo di calcio, non sa nulla di calcio”, perché significa che non sa neppure nulla di quanto esso si intrecci con la vita delle persone, nei momenti fortunati ed in quelli duri e faticosi, causa di sofferenza e motivo di un sentimento gioioso assoluto.
Queste considerazioni non valgono solo per Napoli e la sua squadra. Sono riferibili a città più piccole e meno celebrate e a squadre che non calcano l’erba degli stadi più prestigiosi.
Ovviamente valgono anche per Cosenza e la sua squadra. Lo sa chi lontano dalla sua città natale anche in anni lontani, in campionati minori, in campi di calcio in terra battuta come il vecchio Morrone, ha vissuto il suo tifo come un’occasione per tenere vivo e forte il legame affettivo con la sua comunità nativa.
Io, l’ho detto mille volte, ho seguito anche fisicamente la mia squadra del cuore come l’opportunità, per molti anni, la sola che mi si offriva per tornare ad essere parte della mia comunità, presente e simbolicamente rappresentata sui gradoni degli stadi che al tempo ci erano consentiti.
Oggi questa relazione binaria, calcio e città, esiste ancora. Non è la stessa di quegli anni lontani. Oggi la partita se vuoi la puoi seguire in TV, ne puoi leggere commenti e voti del dopo partita su giornali on line. Negli anni 50 e 60 potevi sapere a fatica il risultato della partita del Cosenza solo nelle rare occasioni nelle quali la schedina del Totocalcio ospitava due incontri di squadre di Quarta serie, che per noi valeva quanto la serie A.
Ora, con il rischio di cadere nell’ovvietà, Cosenza, la città come è oggi, ingrigita e consapevole della sua stagione di decadenza, è privata anche della possibilità di convogliare il proprio desiderio su un “gioco” che è spazio di libertà, emancipazione dalla realtà con un sogno, una passione che è piuttosto un lenimento delle difficoltà e delle delusioni che il nostro tempo ci regala in abbondanza, perché il massimo che ci è consentito dal Guarascio di turno è quello di non retrocedere per il rotto della cuffia. Colui che ha in mano lo strumento per farci sognare, come occasione liberatoria da una situazione diffusa di sacrifici, delusioni, difficoltà di ogni tipo, ha deciso che al popolo bue basta una boccata di ossigeno al 90° minuto dell’ultima partita in calendario. Guarascio di questo è responsabile, di non consentire un sentimento positivo elementare. Ha il diritto di farlo perché si tiene stretto un gioco che non conosce, non vede nella sua vitale irrazionalità, ma solo attraverso il libro mastro del contabile.
La sceneggiata che passa da Occhiuto Sindaco a Franz Caruso è oltraggiosa nei confronti dei cittadini, tifosi o non, e utile solo a Guarascio che tra un pallone che stenta ad entrare nella porta dell’avversario e quello che certo legittimamente la porta dell’affidamento milionario del servizio di raccolta rifiuti la buca con precisione millimetrica non ha dubbi. Mille volte meglio la monnezza, per il pallone di cuoio deve bastare la sua proverbiale fortuna. E quindi ragazzi della curva sud affidatevi al suo… didietro. Non avete altro a disposizione.