Come era chiaro fin dall’inizio, e l’ho anche scritto, l’autonomia differenziata si farà perché la sua approvazione è la condizione perché la maggioranza sostenga, in un iter parlamentare lungo e pieno di insidie, la riforma costituzionale.
È del tutto inutile urlare alla luna che così si spacca l’Italia, alcuni si spingono a dire che in questo modo si formalizza la condizione di marginalità economica, sociale e territoriale del Mezzogiorno.
Oltre che inutile rischia di essere un alibi per i politici e gli amministratori meridionali, che di questa marginalità sono stati e sono corresponsabili.
Se la produzione della ricchezza, il famoso PIL, è concentrata oltre la linea gotica, per intendersi dall’Emilia in su, come si può pensare che non si crei una questione settentrionale che conta e pesa sempre di più, mentre quella meridionale è confinata nella storia nazionale passata. È vero che il diritto di cittadinanza non è una variabile di quanto si può grattare il fondo del barile, cioè delle risorse economiche pubbliche. Ma oggi c’è poco o nulla da grattare e poiché non si può dare a tutti si dà, con fatica, alle categorie, ai territori, ai servizi delle regioni più forti, dotati di una classe politica che non si lascia ignorare, da un’imprenditoria che regge la sfida del tempo e della liberalizzazione, di una cultura e di una informazione che di fatto sono, pur tra molte difficoltà, egemoni.
Il più forte vince e il più debole perde, ma nel nostro caso sarebbe più corretto dire che chi dimostra di essere in grado di concorrere con una politica affidabile e trasparente, con istituzioni efficienti e integre, con una capacità di investimento delle risorse pubbliche comunitarie, chi ha un’opinione pubblica attiva e primo giudice dell’adeguatezza dei diversi attori coinvolti certo è in grado di contrattare con lo Stato gli obblighi che ha nei confronti di tutte le Regioni.
Ma questa è un’analisi sommaria. Le cause e relative responsabilità sono molteplici e antiche. Ma intanto guardiamo ai guasti e alle criticità che ci coinvolgono direttamente.
Cominciamo dai nostri politici. Quando questi si chiamavano Misasi, Gullo, Mancini, Principe, Antoniozzi e molti altri meno noti, la Calabria non era la terra promessa ma aveva la capacità e la credibilità per ottenere investimenti pubblici nelle infrastrutture, nei servizi, nella cultura, che oggi sono realtà tangibili. Unical, Porto di Gioia Tauro, Università e Policlinico di Catanzaro, autostrada, risanamento di borghi quasi desertificati.
La Sanità era il punto debole e la responsabilità gestionale solo regionale. E lo è ancora oggi avendo avuto commissari o impotenti o incapaci.
Ma la storia infinita del nuovo ospedale di Cosenza come la spieghiamo al resto d’Italia? Che non si è trovato in oltre 20 anni dove costruirlo e per quali motivi? Ridicolo campanilismo con Rende? Mancato accordo su aspetti meno limpidi?
È un esempio, non è il solo. L’elenco dei politici e amministratori e burocrati condannati, inquisiti, lo spieghiamo con il destino cinico e baro che ci perseguita? Dare la colpa al destino per Mario Occhiuto, Nicola Adamo, Oliverio e tanti altri meno noti al pubblico ma non alle Procure.
Avere una buona parte della Calabria sotto il controllo della ’ndrangheta che anche nelle vesti di investitori di masse incalcolabili di risorse (per la verità in tutt’Italia) specie nella sanità o di logge massoniche deviate pensate che non pregiudichi il presente e il futuro dei calabresi?
Ma su tutto questo si tace o si rinvia ad improbabili nostalgie borboniche o all’arrivo dei piemontesi predoni.
I corresponsabili o i responsabili oggi della maglia nera che indossa la Calabria in tutte le classifiche (per qualità della vita la prima è Catanzaro al 91 posto poi più giù Cosenza magnificata dal trombettiere senior Occhiuto e dal pifferaio non magico Franz Caruso a poca distanza dall’ultima tra gli ultimi Crotone) siamo noi calabresi. Lo siamo perché sosteniamo gli affossatori della Calabria o perché non li prendiamo a calci virtualmente raccontando le loro gesta e scrivendo le loro malefatte.
Ora c’è una prospettiva certa a medio termine: il treno con le carrozze più moderne e performanti procederà alla velocità consentita da queste ultime e le ultime, ho scritto con le ruote quadrate saranno trainate da una locomotiva spompata che è un miracolo se si muove.
O sarà colpa di quei pochi coraggiosi che insistono a rompere i cabbasisi perché non si arrendono ai malfattori.
Prossimamente parleremo di come il Governo (come gli altri che l’hanno preceduto) manda segnali chiari che il problema Calabria è oggi l’ultimo in agenda.