Nell’articolo che ha smontato il mito del Sud felice e benestante sotto il Regno dei Borboni, abbiamo anche ricordato che la nascita dell’Italia unita non ha portato rose e fiori al Mezzogiorno perché “l’alleanza fra industriali del Nord e agrari del Sud si regge sull’alleanza interna al Sud fra agrari e ceti medi parassitari, e quest’ultima si cementa nel comune sfruttamento dei contadini e dei ceti popolari in genere”.
In buona sostanza si sono riprodotte e consolidate molte anomalie che furono il limite più grave allo sviluppo del Sud dato proprio dalla gestione del nuovo reddito fondamentale: le rimesse dello stato. Intorno a questa gestione si aggregò la nuova classe dirigente, che sostituì il vecchio blocco sociale di agrari e borghesi. Essa era fatta di politici, amministratori, imprenditori, tecnici e professionisti a loro legati, faccendieri e capi-clientela. Tutti costoro rappresentavano la nuova borghesia, il cui potere e le cui ricchezze dipendevano molto più dallo stato che da profitti concorrenziali.
È ben chiaro che tra un passato risalente alla seconda metà dell’800 e l’oggi la presenza di analogie non significa la loro riproduzione fedele. “La storia non fa salti” ma non è neppure una statua piantata in terra con il conseguente immobilismo.
I “latifondisti”, se ancora esistono, non hanno un vero peso sulla gestione del potere. Se lo sono stati o ne sono discendenti hanno cambiato ruolo professionale, che li colloca in un perimetro privilegiato per chi vuole occupare i piani alti del potere, economico e politico, e se non “fanno personalmente politica” la condizionano, scelgono i candidati che offrano le migliori garanzie ai loro personali interessi, molto meno a quelli dei cittadini comuni, che si adattano, anche convintamente, alle pratiche clientelari piuttosto che al merito e ai diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione. Una buona parte per scelta o per necessità emigra lontano dalla sua terra contribuendo in tal modo ad impoverirla e a rendere ancora più difficile e improbabile un processo di ammodernamento e di radicale cambiamento.
Oggi anche in Calabria, dove c’è diffusa povertà grazie a sussidi o false pensioni di invalidità, appare meno evidente, crea di rado scandalo e indignazione di chi potendo poco o nulla fa per creare condizioni di vita accettabili, non troppo lontane da quelle del resto del Paese.
La gerarchia dei diversi soggetti che partecipano al banchetto (non solo in modo virtuale) del potere è cambiata. La politica, la classe politica che esprime pochi leader o nessun leader è mediocre, disistimata, sentita come “in grado di fare quasi tutto” solo da nativi che non conoscono lo scorrere del tempo, e quindi parlano di fascismo che solo chi è ultraottantenne ha potuto sbirciare da ragazzetto o di comunismo che è morto ovunque, tranne che in Cina e Corea del Nord, da 35 anni almeno e addirittura chiamano “comunista” il misterioso soggetto battezzato PD che da molti anni è un mediocre aggregato ibrido, con pochi pregi della DC e con quasi tutti i suoi difetti e responsabilità.
Eppure Berlusconi ha vinto, caduta la cortina di ferro, in nome dell’anticomunismo più becero ed oggi la cosiddetta sinistra d’opposizione pensa di far cadere il governo di destracentro evocando il sentimento etereo dell’antifascismo.
Nel titolo abbiamo bocciato i Borboni, che era il meno che si dovesse fare, abbiamo “rimandato” il Conte di Cavour e con lui avremmo dovuto farlo anche con Garibaldi che per molti avrebbe fatto meglio a restarsene a Nizza a godersi la bellezza della Costa Azzurra senza scendere fino all’estremo sud “a rompere i cabbasisi”. Siamo al massimo della dissacrazione risorgimentale e però ci sentiamo minacciati e discriminati dalla cosiddetta “economia differenziata” che senza darle un nome esiste eccome da decenni tra nord e sud.
La Calabria, che a noi interessa in modo particolare, appare oggi condannata a una pluralità di eventi avversi: l’irrilevanza mediatica e politica nel nostro Paese, la convinzione largamente diffusa tra le élite nazionali che la nostra regione non abbia né la capacità né la volontà di uscire dai bassifondi di tutte le classifiche nazionali ed europee, che come i “nordisti” la affidarono ai latifondisti ferocemente avversi ad ogni cambiamento, così le istituzioni nazionali non sono allarmate dalla presenza massiva di ‘ndrangheta, che trovi pure a Milano, figurarsi nella regione che in buona parte hanno sottratto al controllo dello Stato, né lo sono dalle varie massonerie, quella storica e quella ben più inquietante che è la massoneria “deviata”, qualunque cosa questo aggettivo voglia significare.
Si può cambiare un destino che sembra segnato? In teoria sì, ma occorrerebbe che ci fosse una opinione pubblica che conti e metta limiti alla insipienza della politica locale, che ci fosse voglia e possibilità di disporre di un’informazione libera (terza ipotesi dell’impossibilità, come ha provato il caso de ICalabresi dato in pasto a quattro cialtroni per “ristabilire l’ordine”), di una cultura che si spenda e si diffonda sul territorio e non come è il caso dell’Unical si chiuda entro le mura del campus, comunica gli apprezzamenti di pubblicazioni che lo fanno per mestiere ed esce con alcuni dei suoi docenti per incontrare i cittadini e arricchirne conoscenza e capacità di giudizio consapevole con la frequenza con la quale le suore di quasi clausura escono dai rispettivi conventi.
Troppo pessimista? Forse, sono il primo ad augurarselo, ma se
molti tratti negativi dell’Italia finalmente libera sono presenti, magari un po’ camuffati, nella realtà calabrese odierna, ricca di chiacchiere e voli pindarici e povera di fatti compiuti, su quali basi dovremmo fondare il nostro ottimismo?
2 Comments
In analisi che condivo sino in fondo. Di qui bisognerebbe partire per costruire una proposta politica alternativa. Solo ci fosse un gruppo o nucleo di iniziativa politica per la salvezza della nostra regio esercito
Sono d’ accordo con te La denuncia di un singolo pur apprezzata da migliaia di commenti e visualizzazioni serve come testimonianza, Ma non fa un baffo a un sistema di potere che sta uccidendo una regione e in particolare Cosenza che aveva una sua diversa identità . La politica nazionale è ben contenta da avere ascari che controllano la periferia, i capitali ‘ndranghetisti sono ampiamente ripagati , i beneficiari corrono solo il rischio del ” lo sai tu che….?”, La magistratura con l’ eccezione di Gratteri che lascerà presto Catanzaro penosa , una cultura che se ne stà chiusa nel campus diventato un castrum impenetrabile ecc Certo non ho la presunzione di salvare il mondo, l’ italia la Calabria e Cosenza . Credo che nessuno neppure ci proverà e la Calabria spospolata e inerte sarà un problema irrilevante De gustibus ….. Io non ci sarò in ogni caso per la mia inevitabile dipartita e perchè lascerò Cosenza senza piu tornarci cambiando il mio desiderio iniziale.
Se potrò finanzierò la pubblicazione di un libro affidato ad una grande firma che racconti per colpa di chi, come e quando Cosenza è diventata sconfortante , irriconoscibile , e ahimè irrecuperabile .