Ciò che avevo confusamente intuito nei miei frequenti viaggi a Cosenza ora mi appare molto più chiaro.
Ho avuto un’opportunità che non tutti hanno: quella di ascoltare, interloquire, imparare o condividere con un gran numero di cittadini.
Ho sommato con qualche approssimazione i commenti, i messaggi, a modo loro le emoji, che valgono a misurare un po’ rozzamente i consensi e i dissensi, in genere gli umori delle persone.
Credo di essere nel giusto se parlo di circa 15.000 “contatti”.
Soprattutto nelle ultime settimane mi ha sorpreso che il numero assoluto dei lettori è stato in leggero calo, ma i commenti in particolare hanno segnato un balzo non indifferente.
È cambiato il mio modo di scrivere? Non mi pare proprio e non penso in generale che la “bella forma” sia più importante della “bontà dei contenuti”. Bontà non è un termine elogiativo.
Fatta questa premessa mi sono persuaso che Cosenza (ne parlo perché la conosco bene vivendoci, sia pure ancora per poco) è una cittadella, non una città, che pattina, si muove, quasi scivola su un tappeto. Ma questo tappeto non ha alcun pregio, anzi esso è intessuto di falsità, di arroganza, di assenza di empatia con i cittadini non gallonati, malagrazia e intolleranza.
Per non peccare di superbia e arroganza io stesso non pretendo di aver scattato una foto limpida che induce alla riflessione e a confermare o modificare il rapporto con la città.
Si è fatta evidente la frattura tra empatia e estraneità, tra realtà e la sua percezione da parte delle persone, che in questo campo non sono toccati dalle diseguaglianze sociali ed economiche che pure pesano eccome.
Esiste la città e la “cittadella” o meglio le “cittadelle” che guardano con distacco alla città reale.
Smentendo una convinzione atavica sui calabresi sempre cordiali e accoglienti, una specie in scala ridotta di quel che si diceva un tempo credendoci come “Italiani brava gente”.
Non è vero che noi italiani siamo per definizione brava gente: non siamo venuti da Marte, non abbiamo geneticamente il DNA della qualità superiore. Siamo come tutti, con virtù e difetti, anzi per il pregiudizio verso di noi che è andato crescendo – quasi sempre ingiustamente, ma anche per nostra responsabilità – siamo scesi di qualche posizione nella classifica nazionale.
Torno alla parola “cittadella” e credo che abbia qualche senso che la sede della Regione a Catanzaro sia chiamata così.
Quel palazzo che conosco solo dalla TV ha un eccesso di esibizionismo, ostentazione, nei fatti di separatezza dalla realtà circostante. Ma certo non è la sola a meritarsi questo titolo che, non è spregiativo, è solo fedele alla sostanza.
Quando penso al campus universitario mi viene in mente la parola cittadella. Non tutti i campus o sedi universitarie sono “cittadelle”, cioè luoghi che non colloquiano con la città reale, sia Rende – che ne è diventata una pertinenza con fiacca identità – sia a maggior ragione Cosenza. Sembra che nella cittadella di possa entrare, ma poi diventa difficile uscirne. Un’idea simile mi fu detta da un autorevole docente mio amico ricordando che la città di Rende con i suoi palazzi, con i suoi ristoranti, con le sue ludoteche abbia voluto mettersi al servizio della cittadella, rendendola autosufficiente con qualche centinaio di metri da percorrere per avere quasi tutto quel che serve.
Cosenza è “troppo lontana”, addirittura una decina di chilometri, non sembra proprio una “città universitaria” come accade Pavia, Pisa, Modena, Padova, Lecce, ecc…
Le voci di “dentro” – cioè della cittadella – rimangono dentro. Non ricordo che in questi anni di cosentinità di ritorno abbia mai sentito opinioni, idee, dissenso o consenso che arrivassero in città per darle qualche stimolo alla riflessione, alla partecipazione, alla rivitalizzazione di Cosenza che a me, e non solo a me, pare ingrigita, spenta.
Su ICalabresi, al tempo della mia direzione di cui vado fiero (alla faccia dei voltagabbana), più volte ospitammo interviste o commenti sull’Unical. Parteciparono due ex Rettori, di Cosenza e Reggio, ora pensionati, un docente pensionato ma attivo, una ricercatrice che era incazzata con tutti perché la carriera non prevedeva un avanzamento verso la docenza piena.
Unical cittadella? A me pare piuttosto un fortino e il Rettore che sa tutto dell’intelligenza artificiale pare snobbare quella biologica. Su I Nuovi Calabresi campeggia da settimane un invito al rettore e ai docenti a dire se sarebbero interessati alla possibile cessione della Fondazione Giuliani con tutto il suo patrimonio, ammesso che il Pellegrini che è nel cuore di Occhiuto lasci qualche muro in piedi di Villa Rendano.
Ovviamente il rettore intelligente artificiale non ha prodotto una parola (siamo nella norma, deve aver capito che “meno si parra e megliu si stà”). In compenso quello meno intelligente e però nel cuore dell’ex Sindaco ha parlato, anzi ha fatto scrivere ad una giovane avvocato della scuderia di Mungari, la cazzata almeno mensile. La ragione: “Taci vil dannato che dalla Villa ti abbiamo cacciato”. Cosa rispondere a tanta ottusità? Che la proposta era politica – e se l’ho posta c’era forse qualche ragione fondata, non pensi Walterino un po’ cr….?
Ma siccome “mai dire mai” sono persuaso che con una citazione con processo sommario semplificato (cioè teoricamente rapido), depositata oggi o domani dopo averla scritta dalle 5 di stamane a un’ora fa al termine di uno scandaglio di tutto lo scibile giuridico, qualche sorpresa potrebbe arrivare. Escluso ora e per sempre un mio avvicinamento a Villa Rendano (e infatti prevedo di andare a vivere nella pace di uno dei più bei borghi italiani, una città con il più alto tasso di iscritti alla Massoneria).
Per me non è un problema anzi, sono abituato dopo quasi quattro anni di permanenza a Cosenza, che massoni deviati, cioè la grande maggioranza, che si “fannu solo i cazzi loro” ne ho conosciuti tanti. Anche se pensano di essere invisibili si sente la p… l’odore anche a distanza. Chiedere al tricolorato Franz Caruso per conferma.