Le decine di tende, con le quali i giovani studenti fuori sede, Milano e a Roma, ma tra poco probabilmente in altre italiane, denunciano la situazione insostenibile dei costi per un alloggio precario, hanno mandato un segnale forte a chi li ha di fatto da tempo quasi ignorati.
Parto con il ruolo di testimone diretto. Mia figlia maggiore che oggi ha quaranta anni dovette prima e scelse poi di fare gli studi universitari lontano da Roma, dove poi tornò per poco tempo per fare gli ultimi esami e laurearsi.
Il problema – siamo all’inizio del nuovo millennio – esisteva già ma nessuno, allora come ora, se ne curava.
Il percorso a ostacoli per trovare un alloggio iniziò a Bologna che con l’Università e gli alloggi a prezzi insostenibili quasi ci campa; proseguì a Reggio Emilia, dove c’erano corsi per la sua disciplina migliori, non propriamente una sede ambita, ma con affitti salati e dopo la laurea con un master si concluse a Milano, per il fatidico stage. In mini appartamenti 40mq al massimo nel 2004 i canoni andavano da 600 euro + spese (sesto piano senza ascensore) ad 800 euro. Inutile dire che passando da un posto di lavoro a tempo rigorosamente determinato capitava che al costo dell’alloggio dovessimo noi genitori aggiungere qualche centinaio d’euro per vivere.
Tutto questo per dire che coloro che ora utilizzano le proteste come atto di accusa nei confronti del governo di turno – trovo scandalosa e spiegherò perché – il Landini che cerca di presentarsi come il cavaliere bianco pronto a difendere questi ragazzi, di cui il Sindacato, ormai sostenuto in massima parte da ex lavoratori anziani, se n’è fregato bellamente.
Gran parte di quei ragazzi “attentati” sono meridionali e calabresi in particolare che tra l’altro ci segnalano che l’idea per la quale tutti o quasi tutti i giovani siano parassiti e felicemente a carico dei genitori e dei nonni è un falso autoassolutorio.
Innanzi tutto allarghiamo l’orizzonte sulla condizione di molti giovani meridionali, un terzo dei quali laureati lascia la Calabria perché mancano sia le occasioni, se non per pochi, di completare il percorso formativo con esperienze qualificanti che qui quasi non esistono (per condizioni obiettive, ma anche per un familismo e clientelismo intollerabile) sia perché il mercato del lavoro già povero di offerte congrue è come un tavolo verde dove si gioca a carte barando.
Ora, chiedo ai tanti padri e madri che sperimentano un fenomeno che altrove è fisiologico e anche positivo, ma da noi è relativamente recente, la lontananza dei figli, destinata a protrarsi nel tempo, cosa facciamo noi calabresi – perché la Calabria è maglia nera in tutte le classifiche – non per trattenere i giovani qui dove sono quasi inesistenti le prospettive di lavoro qualificato e congruo con un processo di cambiamento globale che richiede continui cambi di passo a chi non vuole essere messo ai margini, ma per pretendere che si investano risorse, politiche, progetti per chi ha la ventura di essere giovane e non anziano pensionato?
Come si può “obbligare” un giovane meridionale a trasferirsi a Milano o anche in altri paesi d’Europa ignorando che un buco di casa a Milano non costa meno di 600/700 euro in periferia, dove il costo della vita è pari quasi a quello di Londra o altre grandi città europee, potendo godere i più fortunati e qualificati almeno per i primi anni (durante i quali si ha bisogno di dormire su un letto, mangiare il minimo vitale, permettersi il lusso di mangiare un paio di pizze al mese con gli amici e le possibili fidanzate – pardon, compagne – ecc ecc) di retribuzioni comprese tra € 1500,00 e 2000,00?
La soluzione, non si chiama così ma di fatto è il wellfare familiare.
Genitori non benestanti sostengono il costo della speculazione dei privati, della svalutazione delle risorse umane come asset fondamentale della produzione e dell’economia, della marginalizzazione sociale e territoriale, della situazione di quasi default permanente di cui le generazioni dei giovani o quasi giovani non sono responsabili, mentre i politici degli anni ’80 e ’90, di tutti o quasi tutti i partiti, hanno fatto la più grande dilapidazione delle risorse pubbliche per molte non commendevoli ragioni.
Mi permetto di aggiungerne un’altra di cui si parla poco o niente. La chiamerò “il peso della paura”. Cosa significa – perdonerete l’approssimazione lessicale – Andreotti vuole mantenere il potere “che logora chi non ce l’ha”, mentre i primi spifferi di turbolenze si avvertono, Craxi meno forte di quanto creda prendendo decisioni necessarie e impopolari, ad esempio il blocco della scala mobile come acceleratore dell’inflazione (andando paradossalmente in controtendenza con l’avv. Agnelli) avverte che non può fare la guerra fontale ai comunisti, il Sindacato sostiene il suo ruolo da protagonista senza badare a “spesa pubblica”, si paga il consenso in mille modi, il più efficace e devastante non perseguendo seriamente l’infedeltà fiscale, il PCI e la sinistra radicale fanno la loro parte essendo di fatto “al governo” pur essendo all’opposizione. Un classico che si è ripetuto, governando per nove anni non avendo mai vinto un’elezione.
Sono analisi un po’ rozze e ne sono consapevole. Ma non infondate, utili comunque a convincerci che non tutti i mali italiani nascono oggi, perché la destra ha vinto le elezioni, perché i cosiddetti corpi intermedi, Sindacati e Organizzazioni imprenditoriali solo ora si propongono come paladini dei giovani e dei lavoratori, sottopagati, precari, sbattuti fuori con un SMS quando ai “padroni” piace mentre dimenticano che quando Renzi con il jobs act non cancellò molti diritti dei lavoratori, ma rese una disciplina rinsecchita tutto “Il Diritto del Lavoro” e Monti fece una riforma pensionistica necessaria ma brutale negli effetti immediati, il Sindacato reagì con uno scioperetto di un paio d’ore minacciando come al solito la prossima mobilitazione.
Questo è solo un’introduzione alla realtà presente, ma con l’attenzione tutta rivolta ai problemi di casa nostra, la Calabria e Cosenza torneremo sul tema come è nostro costume “senza peli sulla lingua”.