Continuo il racconto sullo “stato di salute” del PD e della sinistra democratica, riformista, credibile come alternativa alla destra, che oggi governa con pieno diritto anche grazie al vuoto ragalatole dallo schieramento “avverso”(?).
Come già scritto, per chi crede che i mali, non solo problemi, che angustiano l’Italia, e non da oggi, abbiano bisogno che ad una destra che fa la sua parte, con i suoi valori politici, sociali, culturali come è fisiologico accada, si ponga come alternativa un’area politica progressista non può accettare che il PD, che di quell’aria è componente primaria, resti così come è oggi. Nel Paese e per quanto ci riguarda in Calabria.
Renzi ha provato con la sua vittoria nel partito e nelle elezioni europee che la sua proposta politica, di rinnovamento radicale espresso con una certa rozzezza, ma efficace, era quello che buona parte dell’elettorato aspettava. È una stagione durata poco, per la resistenza dei sempreverdi dirigenti di partito, per l’ambiguità della sua “ricetta” per curare le sempre meno tollerabili diseguaglianze sociali, economiche, territoriali. La riforma pasticciata della Costituzione ha segnato, ma non da sola, la fine di quella stagione che comunque aveva reso evidente che non la proposta di cambiamento era stata bocciata, ma la sua realizzazione piena di ambiguità e non gradita, a prescindere, dal corpaccione burocratico del PD.
È in parte quello che si sta replicando con la Schlein, eletta non dai militanti soddisfatti e appagati del partito, ma da coloro che ne sono fuori, non per disinteresse per la politica (altrimenti non farebbero la fila ai gazebo per votare alle primarie) ma perché consapevoli che questo ircocervo, che anche per la sua origine è allo stesso tempo post DC, post PCI, post tutto, non è in grado di avere aspirazioni maggioritarie, che erano nel certificato di nascita a firma Veltroni, e deve raccattare alleati improbabili e riottosi. Mai visto un segretario di partito, Zingaretti, che dopo poche settimane dalla crisi del governo più a destra, a quel tempo, dell’Italia repubblicana, “elegge” colui che l’ha guidato – non un noto protagonista della storia politica, ma il più elegante e attraente per la pochette ed il ciuffo sbarazzino (ricordate “le bimbe” eccitate?) leader dello schieramento progressista.
Ed ora, con questi precedenti, anche la povera Schlein che forse non è la piddina ortodossa, ma non è una sciocca avendo capito che la sua nomina nasce dalla voglia di radicale cambiamento (in questo replicando il successo effimero di Renzi) è costretta a fingere di credere al “campo largo”, mentre quello reale si restringe a corteggiare Conte che, come una damigella timorosa, ricorda quella che in una canzone si spogliava pudicamente ripetendo “a cammisella no no, no”.
Se la segretaria Schlein non dà corpo al promesso cambiamento che è nei contenuti della proposta politica di breve e medio termine, ma è anche nel ripristino di regole di selezione di una nuova classe dirigente, farà, ahimè, la fine dei suoi predecessori. E non è cosa che può auspicare chi crede che ad una destra debba rispondere una sinistra moderna, concreta, non quella per intendersi che ha accettato lo svilimento del lavoro, che è diventato “un costo” da tagliare, piuttosto che una risorsa preziosa da tutelare e pagare il giusto. Una sinistra che non faccia quello che hanno fatto i Piemontesi con l’Unità di Italia, affidare ai latifondisti, oggi si chiamano in altro modo, già fedeli al re di Borbone il compito di governare le regioni del sud che contano poco e comunque sono in gran parte inguaribili.
Non vi paia eccessivo questo paragone con i Borboni che addirittura sono diventati quasi più attraenti per un buon numero di meridionali degli attuali governanti – fatta eccezione bontà loro per il Presidente della Repubblica Mattarella – e hanno fatto uscire dall’anonimato il giornalista Aprile, che dei Borboni celebra le lodi, spudoratamente.
Lo sguardo rivolto al PD nazionale consentirebbe il ricordo di tanti errori, tanta inadeguatezza non solo del PD ma anche dei cosiddetti corpi intermedi, sindacati compresi, che non a caso hanno iscritti in maggioranza anziani e pensionati, certo meritevoli di avere una rappresentanza che ne tuteli i diritti, ma che i cancelli delle fabbriche, le scrivanie e gli sportelli degli uffici, i modi spicci di alcuni capi forse li hanno un po’ dimenticati.
La perdita di memoria è il primo segno degli anni che passano.