Abbiamo definito Cosenza nell’articolo pubblicato due giorni fa su I Nuovi Calabresi città “grigia”, che non è un complimento e definisce una condizione di crisi, di perdita di dinamismo e qualità che la movida su Corso Mazzini per guardare le vetrine dei negozi e delle boutique non basta a sostituire. Per gli acquisti è un’altra cosa, perché la borghesia che vuole marcare la propria identità la trovate di preferenza a via Condotti o via Frattina a Roma anche per acquistare un paio di mutande.
Che Cosenza sia avvitata da anni in una crisi che si è fatta visibile negli ultimi anni, esaurita la stagione di Occhiuto Sindaco, che ha realizzato opere e anche o soprattutto alimentato una fantasmagorica narrazione sono in pochi a negarlo. Franz Caruso ha vinto le elezioni promettendo di essere altro rispetto al suo predecessore e in molti gli hanno creduto, me compreso che a Cosenza non voto.
La svolta radicale non c’è stata ma non è solo colpa del nuovo Sindaco che è stato obbligato a fare i conti con la realtà gravata dalla pandemia e dalla paralisi della vita economica e sociale e con un Amministrazione povera di risorse finanziarie e professionali.
Ma a dire il vero non sono solo questi gli elementi che hanno condizionato la vita e l’amministrazione di Cosenza.
Dietro e con il Sindaco c’è un gruppo inamovibile e cangiante di potere, sempre lo stesso, perché la sua forza consiste anche nel farsi apparentemente all’occorrenza concavo e convesso che sul piano politico, destra o sinistra (si fa per dire) rimanda sempre agli stessi nomi gravitanti intorno al partito democratico.
Il tentativo di farne una plastica facciale difficilmente riuscirà perché di travisamenti quel partito che avrebbe dovuto essere l’espressione del più limpido riformismo con una scala valoriale riconoscibile ne ha fatti tanti, troppi e non è più credibile.
Torniamo ai dati della realtà. Cosenza ma in genere buona parte d’Italia quando ha avuto le risorse, o ha finto di averle, ha realizzato opere, più o meno utili, sicuramente capaci di generare nell’immediato consensi.
Mancini ha realizzato o ottenuto che lo Stato realizzasse opere importanti, in gran parte necessarie e utili, in ogni caso generatori di consenso. Ma in genere s’è guardato bene di cedere alla tentazione delle “cattedrali nel deserto” o dei fuochi di artificio. Non è stato immune da errori – il più grave di aver ceduto alla tentazione del familismo e all’illusione della fedeltà che alberga di solito nelle persone mediocri.
Ciò che importa oggi infatti, è il mantra che accompagna il PNRR, è che importa fare ma soprattutto gestire, cioè avere risorse e competenze perché le opere realizzate siano effettivamente utili.
L’Osservatorio astronomico è un caso emblematico. Bello, importante, ma vuoto e quindi oggi inutile.
Viale Parco nato come asse strategico della mobilità nella vasta area urbana cosentina che comprende a nord Rende e Unical, cancellato con un tratto di penna per farne un improbabile parco verde longitudinale. Tra l’altro rendendo ben visibile la contraddizione di chi ciancia di città unica e poi rende sempre più improbabile, anche con la misteriosa scomparsa nella nebbia della metro leggera (ultima vittima dell’ideologia passatista e ignorante), dalle scelte programmatiche messe in campo.
Ora un salto logico che non è però fuori tema.
Delle molte facce della crisi sempre più in avvitamento di Cosenza c’è anche quella del Cosenza calcio.
Non ci provo più a spiegare che il calcio “non è solo calcio” (cit. Mourinho) ma è molto di più, creatore di passioni che sopiscono la rabbia o la sofferenza di tanti, un essenziale elemento identitario soprattutto a vantaggio come nel caso della Calabria che ha più nativi fuori e lontano dalla propria terra di quelli che sono qui rimasti. Il dato delle centinaia, una volta migliaia di cosentini che come me affollavano gli stadi del centro nord Italia non erano se non in minima parte gente in trasferta; erano quelli che vivevano in città vicine al luogo della partita e sulle curve potevano parlare in dialetto senza essere irrisi (c’è stato e in parte ancora c’è una forma di razzismo verso di noi), urlare la propria fedeltà a Cosenza, sentirsi una volta tanto alla pari o superiori a squadre/città blasonate.
Il calcio a Cosenza se non morto non se la passa affatto bene. La mossa comunque apprezzabile anche se inutile di Franz Caruso di convocare Guarascio, sindaci e tifosi non servirà a molto.
Sarò chiaro fino ai limiti del rischio di querela: Guarascio proprietario della società di calcio non è distinguibile dall’imprenditore che vuole sempre guadagnare. Lo fa meno abilmente di altri padroni del calcio e infatti con l’aiuto di Direttori sportivi disponibili compra giocatori in disuso e li fa passare come campioni in pista di lancio. Una volta, specie con Pagliuso, si spendeva per avere allenatori di prestigio e si compravano giocatori di categoria. Si investiva e si apriva, anche sconsideratamente, il portafoglio. Pagliuso è stato azzoppato dalla solita Procura, nel nostro caso Catanzaro, e dall’aver scelto alla fine un partner finanziario scomodo.
Cosenza è diventata nota al resto d’Italia – è bene essere chiari fino alla brutalità – prima con le sporadiche presenze nella schedina del totocalcio poi finalmente calcando i grandi campi fino alle soglie della serie A.
Guarascio non ha da quel che si sa interessi imprenditoriali a Cosenza, del calcio sa poco o nulla, ora addirittura rivela che la “società con i conti in ordine” avrebbe addirittura debiti milionari. Cosa volete aspettarvi: che il parsimonioso Guarascio diventi all’improvviso un mecenate? Per trovare chi almeno ci mette molto di suo guardate a Reggio, la cui squadra da spacciata ora è nei piani alti della classifica, a Catanzaro che finalmente tornerà in serie B, a Crotone che dalla C quanto prima si attrezzerà per la B (intanto ricordiamo che tutte e tre le squadre calabresi in serie A ci sono già state).
Un’ultima osservazione. Guarascio è possibile che dopo aver fatto toccare il fondo alla squadra sia disposto a vendere (guadagnandoci). È improbabile che ci sia un compratore locale sebbene ben munito di risorse.
Perché nessuno sembra voler investire nel calcio che è oggi in particolare con la diffusione globale in rete delle partite uno straordinario mezzo di promozione? Perché – questa è la voce che circola tra la gente semplice – c’è sempre il rischio o il semplice sospetto che dietro l’affare ci sia l’odore di soldi di dubbia provenienza. La ‘ndrangheta se è in larga parte d’Italia perché dovrebbe ignorare la terra nella quale è nata?