Chi conosce il mondo della comunicazione, che oggi è più importante e pervasiva che mai – nelle Aziende più grandi e importanti, in Italia e all’estero, il responsabile della comunicazione è meglio retribuito del suo collega della produzione e ciò che pare essere un paradosso – determina le sorti della politica, dell’economia, della cultura, perché ne costruisce l’identità e la rende più forte e attraente o il suo esatto contrario.
Parlo per esperienza personale, perché tra i tanti lavori che ho fatto, certo quello nel campo della comunicazione è stato il più duraturo – oltre 20 anni – e più importante.
C’è una relazione stretta tra cambiamento e comunicazione, vale per la società civile vale per il sistema delle imprese e delle società.
Entrai in FS con un concorso per un posto da dirigente al livello iniziale – fino ad allora quel pocoche c’era era guidato da Alberto Ciambricco, autore della serie televisiva che i meno giovani ricorderanno sul Tenente Sheridan, un ottimo professionista ed una persona per bene – in previsione che la riforma delle ferrovie data per imminente necessitasse di una struttura informativa e promozionale più forte.
La “riforma”, pasticciata e lottizzata tra tutti i partiti tranne il MSI, con Vico Ligato presidente, fu fatta solo nel 1986, quattro anni dopo la mia assunzione.
Una funzione aziendale che era guardata con sufficienza dagli ingegneri ferroviari, la quasi totalità della dirigenza, con l’entrata in campo di amministratori tutti di provenienza politica, diventò ben presto appetibile.
Non tardai ad accorgermene perché ogni giorno veniva qualcuno a dirmi, con aria compassionevole, chi avrebbe preso il mio posto. Il più gettonato era il giornalista RAI Gino Nebiolo, esponente di spicco della P2 sostenuto da vari big di tutti i partiti, PCI compreso con la postura del “non so, non vedo, non sento”.
Solo per completezza di informazione e non per raccontare la mia storia professionale che non interessa a nessuno, la candidatura di Nebiolo fu bloccata a poche ore di distanza dal CdA che l’avrebbe dovuto nominare perché nei primi giorni di gennaio 1987 la Procura bolognese fece arrestare esponenti di spicco della Loggia massonica P2 per la strage alla stazione di Bologna, che fece diventare “inopportuna” la collocazione di un noto piduista in posizione apicale.
Io rimasi responsabile molto precario fino al 1988, quando dopo essere stato “esaminato” in una colazione ad hoc da un Prefetto, dei Servizi generali (id est: servizi segreti) della Presidenza del Consiglio, dopo un colloquio riappacificatore con Ligato – sempre contrario al piduista – fui nominato corresponsabile della nuova Direzione centrale con un bravo giornalista Carlo Gregoretti, amico intimo di Eugenio Scalfari.
Quegli anni difficili ebbero il merito di affinare la mia professionalità con un marcato profilo politico – la comunicazione è sempre politica altrimenti è cronaca o parapubblicità – ma soprattutto mi confermarono che non avendo una particolare attrazione per il “potere” avrei dovuto fare il mio lavoro con occhi e orecchi puntati senza partigianeria sulla politica.
Ora, vengo al tema che mi interessa e spero interessi anche i lettori, ovviamente circoscritto alla Calabria.
Se pensate che l’informazione/comunicazione da noi sia di buona qualità, libera e senza condizionamenti, capace di formare e implementare un’ opinione pubblica che pesa, insomma che in Calabria si pratichi senza impacci il libero giornalismo (peraltro non dominante nel resto d’Italia) debbo dirvi, con il massimo rispetto, che vivete in Fantasyland.
C’è un rapporto causa – effetto tra informazione e comunicazione specie pubblica e cattiva politica. Che però sono solo un inizio di una catena che è composta da cattivi servizi, insostenibili disparità sociali, familismo e corporativismo, marginalità politica e mediatica dell’intera Calabria.
Ciò significa in parole povere che la Calabria non fa notizia – se non per fatti di mafia o sfascio della sanità – e come mi hanno detto tanti giornalisti che ho conosciuto e frequentato quasi giornalmente “della Calabria non frega niente a nessuno”. Brutale? Certo che sì. Del tutto infondato? Purtroppo no.
Con la capacità che penso di avere di valutare quanto sia di potenziale interesse generale la questione che vi è nota fino alla noia riguardante la Fondazione Giuliani e ICalabresi sono certo – per verifica recente diretta – che essa sarebbe stata raccontata almeno da alcuni giornali nazionali senza difficoltà se non pesasse il disinteresse per quanto di bello o di brutto accade nella nostra terra.
Perché la “questione” che qui da noi in tanti hanno provato a presentare infarcita di falsi macroscopici e quasi fosse una “lite” – questo è il termine usato da alcuni all’inizio – tra due Pellegrini introduce tre gravi anomalie inedite o sostanziali illeciti, ma utili come precedente per eventuali repliche.
Le enumero senza commenti, perché ne ho scritto con dovizia di particolari su I Nuovi Calabresi.
La prima è costituita dalla scalata ostile e immotivata se non da interessi disdicevoli personali di una Fondazione privata alla quale il fondatore ha conferito un patrimonio di € 13 milioni, ha assegnato una “missione” specifica; ha indicato chi scrive che della Fondazione è stato il realizzatore dalla A alla Z di assicurarne la gestione e la continuità nel futuro.
La seconda, obiettivo della prima, è la chiusura di un giornale libero e autorevole come ICalabresi dichiarato dal capo della banda “un danno per la Fondazione” (al punto da richiedermi con una citazione che dovrebbe solo servire ad incartare una kilata di alici il rimborso di € 160.000,00) nonostante tutti i dati certificati da una perizia qualificata dicano che in termini di diffusione, autorevolezza, qualità e novità editoriale e di incrementi patrimoniali dicano il contrario.
La terza in termini politico-istituzionali è forse la più grave: Mario Occhiuto si è attivamente e direttamente impegnato da Sindaco, dopo aver convinto il dott. Sergio Guliani, per fare acquistare Villa Rendano con il successivo restauro per un importo superiore a € 3.300.000 + IVA, in attuazione ad un patto di sussidiarietà che impegna i contraenti, specie di parte pubblica, a “cooperare” e “condividere” le azioni a tutela e valorizzazione del bene, utile ai cittadini.
Lo stesso Mario Occhiuto entrando a fare parte del CdA costituito con una decisione eversiva ora all’esame della Magistratura romana si è reso responsabile di violazione di quell’intesa fiduciaria.
Sono fatti incontestabili anche a prescindere dal pronunciamento, peraltro imminente, del Tribunale di Roma.
Ma ci si può irritare per l’irrilevanza di quanto accade in Calabria appena superato il valico Campotenese quando la stampa locale, la politica e tutti i soggetti decisori non hanno pronunciato o scritto verbo?
Mi imbarazza quasi che un blog/giornale da registrare presso il Tribunale sia il solo, sottolineo il solo, che sta rendendo note, spiegando e documentando “a fini probatori”, ogni cosa utile, senza omissioni, e i cittadini stanno apprezzando quest’avventura solitaria aumentando il numero dei lettori in tutt’Italia e non solo di circa 40.000 unità al mese.
Bravi noi? Forse. Omertosi e complici gli altri? Certo o probabile. Cattivi e indisponenti i giornali nazionali? Può darsi, ma perché dovrebbero essere più realisti del re? Perché dovrebbero fare quel che i più interessati non fanno e non hanno fatto.
Siccome odio l’ipocrisia e non aspiro al consenso fasullo pongo questa domanda a un paio di colleghi, scelti simbolicamente: Massimo Clausi Direttore di Cosenzachannel e Paola Militano direttore de Il Corriere di Calabria. Due per tutti.
Attendo risposta si sum dignus.