In queste settimane sono spuntati come funghi i “laudatores” del sistema parlamentare per contrapporlo al premierato che Giorgia ha messo in cima alla sua agenda politica.
Ci sono motivi numerosi per pensare male del premierato nella sua versione pasticciata, ma lascia molto perplessi l’elogio sperticato sia del sistema parlamentare come modello di partecipazione attiva dei cittadini sia come concreta attuazione nel nostro Paese.
Bisognerebbe intanto ricordare che il modello della democrazia parlamentare o liberale, che già Churchill difendeva non come perfetto ma solo in virtù del fatto che negli anni del dopoguerra non ce ne erano di migliori, oggi non piace alla maggioranza delle nazioni. E non bisogna pensare solo a Putin e ai cinesi, tutto o quasi l’emisfero sud non trova attraente un sistema che coinvolge e interroga il pensiero dei cittadini ogni 4 o 5 anni.
Veniamo a casa nostra: abbiamo il regime parlamentare classico, una Camera e un Senato, che sostanzialmente fanno le stesse cose con le stesse prerogative. Renzi voleva cambiare questo bicameralismo pressoché inutile ed ha perso malamente il referendum. Vorrei sommessamente ricordare che Renzi a quel tempo era il segretario ancora osannato del PD, che sostenendo il quesito referendario mostrava di non essere entusiasta dell’esistente. Ma c’è molto di più e di peggio nel nostro parlamentarismo: è composto da persone che gli elettori non solo non scelgono, ma neppure conoscono. E nel giudizio di molti quest’ultimo dato non è del tutto negativo giacché la qualità dei “nominati”, fatte le debite eccezioni, è bassina e talora pessima.
Se i sostenitori del sistema parlamentare classico, come ai tempi di Giolitti e De Pretis – parliamo degli anni che precedettero il fascismo -, volessero difenderlo, renderlo appetibile per la maggioranza, perché non modificano la legge elettorale magari con il doppio turno, o si vince con il 50%+ 1 o si va al ballottaggio? Questo imporrebbe ai partiti – fingendo che ancora esistano dopo lo tsunami di Mani Pulite – di presentare candidati noti e stimabili, non saltimbanchi che passano da destra a sinistra e viceversa e hanno sempre gli stessi cognomi. Ho conosciuto e stimato l’on. Dario Antoniozzi ma non posso non ricordare che quando nel 1953 avevo 7 anni Florindo, capo assoluto della Cassa di Risparmio, faceva eleggere il figlio Dario. Poi ritiratosi dalla politica attiva gli è subentrato il figlio Alfredo – da DC oggi FdI – ed ancora un altro Dario, jr, figlio di Alfredo è stato eletto in uno dei Municipi di Roma. Insomma su 78 anni di vita oltre 70 li ho passati “in compagnia” della famiglia Antoniozzi.
Ora siamo al periodo dei Gentile, due per me indistinguibili, e due figli maschio e femmina che devi inseguire come una pallina da biliardo perché cambia collocazione con facilità. L’ultimo approdo la Lega che grazie a lei “sarebbe diventato il primo partito in Calabria”. Un’altra disgrazia che si aggiungeva alle altre accatastate.
Veniamo al presidenzialismo targato Meloni. Al netto delle forzature e di macroscopici errori di grammatica costituzionale, il disegno di Giorgia è molto più al sicuro di quanto gli avversari credono. I motivi sono molteplici: questa politica da oltre 30 anni non piace se non ai suoi beneficiati. È o appare del tutto lontana dal sentiment (un termine che va di moda tra chi sforna previsioni a tutto spiano) della gente comune. Nel Sud e in Calabria, tanto per cambiare, non frega niente a nessuno e infatti solo il 40% è andato a votare per l’Europa, sarebbero stati quasi il doppio se si fosse votato per Mongrassano o Cleto. Così permettendo ai commentatori di dire che nel Sud e in Calabria manca il voto d’opinione perché va alla grande quello che si vende a pacchetti. Figurarsi se qui qualcuno si scomoda a votare per una cosa semisconosciuta come l’Unione Europea.
E come pensate che in un Paese dove la partecipazione politica è minoritaria, dove la stima per i politici è mediamente non alta fino a Roma e poi diventa mignon da Napoli in giù, si comporteranno i votanti di un eventuale referendum confermativo del probabile presidenzialismo giorgiano?
L’Italia in genere apprezza l’idea di un uomo (o donna) solo al comando, come dire SI o NO senza manco spiegare perché. L’Italia è unica e unita solo ai campionati mondiali di calcio e ad essere buoni di italie ne esistono almeno 6 o 7. Non solo Nord, Centro, Sud ed isole, ma anche Nord-ovest e Nord-est, Centro nord e Centro sud, Calabria settentrionale e Calabria meridionale e via enumerando.
A questo puzzle impazzito si vuole applicare il massimo della semplificazione cioè dell’irrealtà: uno solo che comanda su e più di tutti, sebbene “i tutti” parlino dialetti o lingue diverse, si conoscano e si amino poco tra di loro, siano eredi dell’Impero Asburgico e dello Stato della Chiesa o peggio del Regno di Franceschiello di Casa Borboni. Ed è probabile che così vada a finire, perché se il presente non piace a nessuno, ogni novità rischia di piacere a prescindere.