Da trenta anni e più, dal tempo di Mani pulite per essere chiari, si dice impropriamente che è in corso una “guerra” tra politica e magistratura. In realtà detta così è una totale bufala (basterebbe leggere, conoscere e riflettere senza astio). Nel 1992 e seguenti c’è stata un’azione giudiziaria con molti meriti (ma non moltissimi) che ha spazzato via una classe dirigente, quella non comunista, che si era formata progressivamente con un profilo di capacità e credibilità ben più alto di quella odierna, in buona parte fatta di miracolati, voltagabbana e ampiamente disistimati.
Allora c’era la corruzione per finanziare i partiti e come sempre accade un rivolo arrivava nelle tasche dei singoli, politici e mediatori d’affari.
Ma oggi pensate seriamente che la corruzione ancora più pervasiva sia scomparsa? È stata assimilata come un male in qualche misura inevitabile.
Craxi si portava a letto all’hotel Raphael donne celebri e non, era notorio e anche sgradevole, perché una di queste divenne presto una “zarina” che decideva chi Craxi dovesse vedere e ammettere al tavolo del ristorante la sera.
Io c’ero, non ho mai partecipato ad alcun tavolo regio, ma non ho visto neppure una banda di malfattori.
I leader, Fanfani, Moro e decine di altri erano divenuti tali con un percorso politico lungo e molto selettivo.
Oggi abbiamo fidanzate, false mogli, cavalier serventi spesso senz’arte né parte.
Ora veniamo alla “guerra” dei magistrati e dei politici. La prima guerra, Mani pulite, l’hanno stravinta i primi, salvo poi ammosciarsi prima con Di Pietro “fatto fuori” da una domanda di Report sugli interessi familiari, alla quale non rispose ma si esibì in un penoso balbettio.
La guerra è stata poi traslata all’interno della corporazione e i migliori, un nome per tutti Giovanni Falcone, è stato la vittima illustre, prima dei colleghi che lo hanno posposto a un anziano ignaro di mafia a capo della Procura, e poi dei mafiosi di Totò Riina.
Questa nota non pretende di fare la storia complessa e in buona parte sconosciuta della Magistratura italiana.
D’altra parte se si prescinde dal portavoce dei manettari Marco Travaglio non è che la gente stimi granché la magistratura.
Il problema è che ci hanno obbligato a battere le mani ai magistrati senza verifica dei loro meriti per non dover essere confusi con i supporters dei politici. O viceversa. Un colpevole dell’Italia allo sfascio ci deve essere proprio; non più colpevoli ma un’intera categoria. O la colpa è della politica (Tout court) e quindi applausi e tifo da stadio alla magistratura, oppure il contrario. Tertium non datur.
In realtà c’è una terza ipotesi: la magistratura in una misura non più sopportabile in nome della sua legittima autonomia e rivendicando il principio “dell’obbligatorietà dell’azione penale”, che è la cosa più falsa in natura, conduce una battaglia politica corporativa in particolare oggi con la destra mentre non dice e fa poco per la sola cosa che conti: il diritto dei cittadini ad avere giustizia. Il problema dei tempi lunghi o “allungabili” à la carte esiste ed è grave. Ma non è il solo: spesso la pigrizia che poi produce errori e ingiustizie, in rari casi la corruzione, spesso, documentato da un protagonista “il mercato delle vacche” per accaparrarsi i posti più prestigiosi, spesso l’impreparazione, perché negli ultimi anni novità nella dottrina e nella giurisprudenza ce ne sono state molte e i giudici non sempre ne sono a conoscenza, tutto questo di fatto nega ai cittadini il “servizio giustizia”. E come ho scritto più volte, in assenza di altre tutele, quella che è affidata di norma ai “corpi intermedi” non c’è altro, i cattivi vincono e i buoni perdono.
A parte pubblico il testo di una PEC che omette il nome del giudice, ma esprime senza timori reverenziali cosa penso di lui e della sua abnorme sentenza.
È molto raro che un cittadino si rivolga al giudice senza complessi di inferiorità ed è altrettanto raro, ma legittimo, a norma dell’art. 21 della Costituzione, che la Calabria che conta ignora nella sua stessa esistenza, che il testo della PEC venga reso pubblico.
Ma come sapete in tanti io sono un cosentino “risciutu male” e peccato che qualcuno – nomi a caso, Walter Pellegrini, Santo Mungari, Linda Catanese, Giovanni Gambaro, Mario Occhiuto, Franz Caruso ecc… – non l’abbiano capito. È grave per loro? Niente affatto, esattamente per quello che ho scritto: la politica specie in Calabria è inguardabile, in alcuni casi ricattata o ricattatoria, la magistratura è quella che è o vuole essere, l’opinione pubblica non esiste proprio, senza giustificare i 72 giornali e giornaletti che “muti sunu” e campano da dio.
Una sentenza da “incorniciare“ in cantina
Vorrei che fosse reso noto al Giudice in oggetto il seguente commento, che manifesto in conformita ai principi costituzionali di libertà di pensiero e parola .
La sentenza che Lei, sig. Giudice, ha pronunciato di recente ha lasciato basiti oltre me anche molti giuristi. In sintesi lei ha respinto la domanda con la quale chiedevo di essere retribuito per 10 anni di Direzione generale in una Fondazione che di fatto ho contribuito a costituire e promuovere come noto e rilevabile da tutti gli atti e i verbali della Fondazio Attilio Elena Giuliani ETS Da quel che si comprende lei incolpa il mio avvocato di non avere motivato con un copia incolla estratti dalla dottrina e dalla giurisprudenza che si trova su molti siti giuridici on line e si divide nel considerare questo professionista o subordinato perchè è sottordinato al CdA che detta le linee fondamentali della gestione a tutto campo (. E i correlati vincoli e diversi) o parasubordinato. Di molto ridimensionata la distinzione tra diritti legittimi e diritti soggettivi la dottrina afferma che “ di fatto” subordinato e parasubordinato SONO LA STESSA COSA” avendo accentuato i caratteri distintivi del rapporto di collaborazione, Per effetto di questa sentenza parte avversa che non contestava il diritto alla retribuzione ma sosteneva l’ aberrante tesi che una donazione dovesse intendersi come retribuzione l vince la causa a” per omissione “ e con severità sorprendente lei mi condanna a pagare una enormità di spese legali a un manipolo di traditori che ha conquistato con dolo, interessi personali e abuso di diritto una Fondazione che ha realizzato sotto la mia direzione e per ragioni etiche ineludibili (impegno del Fondatore € 13milioni) lei è andata ultra petitum negando un diritto che nè controparte nè alcun giurista avrebbe negato
Ora ciò obbliga me a 78 anni a presentare appello o adire direttamente la Suprema Corte. L’età e le mia gravi patologie li renderanno sostanzialmente inutili.
Tanto volevo rappresentarle perché in questo Paese si sta perdendo ogni diritto salvo quelli che tutelano di norgiustamente la funzione del magistrato. Complimenti.Avv. Francesco Pellegrini