‘Ndrangheta a 5 stelle. Intrecci e parentele “scomode” dei consiglieri imbarazzano i grillini
Giuseppe Conte ha fatto dell’antimafia un vessillo elettorale alle elezioni politiche dello scorso settembre. Elezioni che lo hanno portato, da leader del M5S, a ottenere un ragguardevole risultato in Calabria (primo partito con il 29% dei voti).
L’ex premier lo ha dichiarato in tutti i modi e a più riprese: «la lotta alla mafia è nel Dna del Movimento 5 Stelle. Siamo nati per questo». E ancora: «La Mafia è un virus peggiore del Covid» disse al Senato nel gennaio 2021. «Dei mafiosi non parla mai nessuno. Sono dei parassiti» affermò, invece, a Reggio Calabria l’anno scorso.
In più, Conte decise di parlare con i fatti, candidando capilista in Calabria quelli che definiva «i campioni dell’antimafia», rispettivamente per la Camera e per il Senato, l’ex procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho e l’ex procuratore di Palermo, Roberto Scarpinato.
E se Scarpinato venne eletto senza mettere piede in Calabria, De Raho “presidiò” (elettoralmente) il territorio. «Nessuno parla di ‘ndrangheta, la zavorra del Sud» dichiarò in campagna elettorale.
Da procuratore di Reggio nel 2017 dichiarò a Tv2000: «Questo è un territorio nel quale non si possono avere rapporti con altre persone. Perché quello che caratterizza l’ndrangheta è la sua capacità di confusione, d’infiltrazione e inquinamento dei vari settori: economico, politico e sociale. Quindi bisogna vivere sempre da soli. (…) La ’ndrangheta per essere battuta necessita di esponenti delle istituzioni che adottino anche un codice etico che riporti alla rinuncia a tutti i rapporti esterni che non siano quelli strettamente istituzionali (…) Prima giocavo a tennis oggi non lo posso più fare perché anche quello determina entrare in un circolo, avere rapporti con persone. Cosa penserebbe il cittadino se mi vedesse insieme a persone che io reputo perbene ma che invece hanno rapporti che io ignoro. Penserebbero tutti ad una Procura inaffidabile».
E se De Raho ha seguito (anche lodevolmente) questo imprinting da magistrato nel suo salto nel mondo politico, fino a divenire vicepresidente della commissione parlamentare antimafia, diverso e foriero di imbarazzi e “chiacchiere” (meritevoli di approfondimento) sembrerebbero essere taluni legami parentali e varie circostanze fattuali che attorniano i due consiglieri regionali calabresi del M5S: Davide Tavernise e Francesco Afflitto.
L’entrata «storica» … della nipote del “mussutu”
Il 3 e 4 ottobre 2021 per la prima volta dalla sua nascita, il M5S è riuscito a superare la soglia di sbarramento necessaria per entrare a Palazzo Campanella. Venne rivendicato come un «fatto storico» salvo poi rivelarsi una storica supercazzola. Al cambiamento tanto decantato si è preferito prendere la tessera (ovviamente gold) del partito unico dello spreco, con nomine di portaborse, autisti e collaboratori vari che gravano per centinaia di migliaia di euro sul bilancio regionale.
Decine di “beneficati”, insomma. Ma tra i “portaborse” di Tavernise, però, spicca una vecchia conoscenza dell’ex presidente della commissione parlamentare antimafia, Nicola Morra. Parlo della coriglianese Lidia Sciarrotta, che l’ex senatore grillino contribuì ad “epurare” dalle candidature da votare sulla piattaforma Rousseau in vista delle elezioni europee del 2019.
Sciarrotta, nominata “collaboratore esperto” del presidente del gruppo consiliare Movimento 5 Stelle, Davide Tavernise, con determina del dirigente del settore risorse umane del consiglio regionale della Calabria, n. 819 del 24/11/2021, è la nipote (tramite la madre Gaetana, ex consigliera comunale di Corigliano) di Giuseppe Russo, detto “u mussutu”, imprenditore agricolo condannato in via definitiva per usura aggravata dal metodo mafioso nel processo “Corinan-Criscente”.
“Un pluripregiudicato legato alla locale di Corigliano” si legge su di lui sui resoconti giornalistici locali che narrano anche di sequestri milionari da parte della Guardia di Finanza di immobili al medesimo riconducibili nei primi anni 2000. Russo, inoltre, è suocero di Saverio Albamonte e del boss Natale Perri, considerati dalle procure affiliati con ruoli di primo piano alla cosca operante nella Sibaritide.
E se Albamonte è stato freddato a colpi di arma da fuoco nel 2001, Natale Perri, detto “a fiacca” è stato condannato in via definitiva a 13 anni di reclusione per associazione mafiosa nel 2008 nell’ambito del processo “Big Fire – Set Up” per aver svolto il ruolo di capo dell’associazione “ndranghetistica” denominata “Locale di Corigliano” finalizzata alle estorsioni e al traffico di sostanze stupefacenti. Il medesimo è stato coinvolto nella recente inchiesta della DDA di Catanzaro “Karaburun”, sempre sul traffico internazionale di droga con base nella sibaritide.
Il padre della collaboratrice di Tavernise si chiama Antonio Sciarrotta, già segretario di Rifondazione Comunista a Corigliano, condannato anch’esso in via definitiva nell’ambito del processo “Criscente-Corinan” (operazione iniziata nel 2007) per usura aggravata dal metodo mafioso. Inoltre, il 1 aprile 2022 Antonio Sciarrotta è stato condannato dal Tribunale di Castrovillari a 8 mesi di reclusione per esercizio abusivo della professione e truffa. Questo perchè continuava ad esercitare il lavoro di geometra nonostante fosse stato oramai da tempo radiato dall’albo professionale da parte del Collegio dei geometri di Cosenza.
Nel privato (rigorosamente) la Sciarrotta afferma di aver preso le distanze dalla sua famiglia, ma il fatto che in queste ore sia con loro sotto lo stesso ombrellone e che lei faccia politica nella stessa città dei parenti condannati, pone quantomeno dei dubbi sulle sue affermazioni, nonchè contestazioni di opportunità sulle scelte operate dallo stesso Tavernise. Ma non è finita qui.
L’accusa del pentito al cognato di Tavernise
Il capogruppo del M5S ha una sorella, Daniela Tavernise che vive a rende e svolge il lavoro di “onicotecnica” presso un centro estetico all’interno di un noto centro di parrucchieri di Rende. Tra i titolari c’è suo marito, il parrucchiere Andrea Pecora, aperto sostenitore anche elettorale dell’oggi consigliere grillino, con lui ritratto in molteplici occasioni conviviali di famiglia.
Nell’Ordinanza di custodia cautelare firmata 2 agosto 2022 e resa dal Gip Alfredo Ferraro nell’ambito dell’inchiesta “Reset” della DDA di Catanzaro (che ha portato allo scioglimento per mafia del Comune di Rende) emerge proprio il nome del cognato di Tavernise. A fare il nome di Andrea Pecora è il pentito Giuseppe Zaffonte, già affiliato al clan Lanzino di Cosenza.
“Per come mi viene richiesto, sono a conoscenza del fatto che GERVASI Mario pratichi usura, più di una volta ho sentito dire che presta soldi, questa cosa me la disse in particolare 11n suo amico, anche lui vicino a Renato PIROMALLO e ad altri criminali, a nome Andrea PECORA che fa il parrucchiere a Rende …. Omissis … ” si legge a pagina 248 dell’ordinanza di custodia cautelare.
Nella medesima si legge nella pagina successiva (249) che, secondo il Gip, “I collaboratori (tra cui Zaffonte, ndr), dunque, risultano pienamente attendibili, rendendo dichiarazioni lineari, precise, e concordanti tra loro.
E se Mario Gervasi, citato da Zaffonte, secondo la DDA che lo indaga (ottenendone il rinvio a giudizio lo scorso 17 luglio) per intestazione fittizia di beni aggravata dal metodo mafioso e concorso esterno in associazione mafiosa: «pur senza far parte dell’associazione a delinquere, quale contropartita della protezione a lui offerta dai membri del clan, contribuiva concretamente alla conservazione, al rafforzamento ed al raggiungimento degli scopi del sodalizio di matrice ‘ndranghetista, egemone sul territorio della città di Cosenza e della relativa provincia, mettendo a disposizione dello stesso le sue risorse economiche e le sue relazioni imprenditoriali, inerenti all’attività di gestione – diretta ed indiretta – di sale da gioco e di agenzie di scommesse», nè il Pecora (nè Tavernise) risultano indagati.
Non è peregrino pensare, però, che l’omissis a seguito dell’accusa di Zaffonte a Pecora possa preludere ad ulteriori sviluppi investigativi che approfondiscano ulteriormente la vicenda. Dal punto di vista politico, però, è immaginabile pensare che i vari De Raho e Scarpinato possano storcere il naso.
Le parentele scomode di Afflitto
Il consigliere grillino “dissidente” Francesco Afflitto non è noto per la sua laboriosità consiliare, nè per l’attività politica territoriale, emergendo agli onori della recente cronaca per il suo interpretare il ruolo di stampella alla maggioranza di Roberto Occhiuto, approfittando della debolezza del M5S nazionale, il cui motto non è certo “ordine e disciplina”.
Ma dietro il suo passo felpato (molto dietro all’iperpresenzialista Tavernise), c’è qualche scheletro che cigola. Afflitto, difatti, è parente (tramite la madre) di Giovanni Santoro, noto come “Fortezza”, ex boss di Cirò, freddato nella piazza del paese nel 1977. Il figlio Giulio Santoro è stato arrestato da latitante nel 2011 a Cirò Marina dopo essere evaso dal carcere di Bologna dove stava già scontando una condanna a trent’anni per duplice omicidio.
E se altri parenti dell’oggi consigliere, Aldo e Franco Afflitto, sono stati arrestati nel 2013 e poi indagati per tentato omicidio e porto illegale di Armi, suo cognato (ha sposato una sorella della moglie) Tonino Laganà, è stato arrestato nel 1992 nell’ambito dell’operazione di mafia “White Tile”. Ma c’è di più. Insomma, un bell’ambientino.
L’intercettazione in Stige
Francesco Afflitto, unitamente al fratello, Santo Salvatore, sono stati intercettati nell’indagine Stige della DDA di Catanzaro. Di questo vi è risultanza nell’ordinanza di custodia cautelare di Stige del 2017 (pag. 387) nella quale i due fratelli Afflitto sono captati in auto con l’imprenditore Mario Lavorato.
“Le attività tecniche eseguite sul conto di LAVORATO Mario consentivano di accertare come il giorno seguente (21/06/2011) lo stesso fosse partito per la Germania. Che il LAVORATO fosse punto di riferimento della cosca in territorio tedesco, era un dato che proveniva dalle stesse parole di LAVORATO Mario. La conversazione ambientale che segue, intercettata a bordo del veicolo dello stesso (VW Passat S-LM3101 proc.pen. 6152/2009 RGNR 21 DDA RIT 1176/2010), esaltava ancor di più tale concetto. Il dialogo che avveniva a bordo dell’autovettura, con GRECO Cataldo, AFFLITTO Francesco e AFFLITTO Santo portava LAVORATO Mario ad esaltare la sua vicinanza alla famiglia FARAO e il suo impegno, in prima persona, nella commercializzazione dei prodotti alimentari da questi esportati in Germania. LAVORATO Mario si spingeva oltre arrivando ad affermare che sarebbe disposto a fare il carcere pur di non tradire la fiducia accordatagli dai FARAO “…ma io tengo loro… sono con Cenzo (FARAO Vincenzo), con Vittorio (FARAO Vittorio), che loro mi vengono a trovare ed io con loro …possono venire… possono venire pure ad arrestarmi di nuovo… però io gliel’ho detto al giudice… quella è la mia famiglia non è che mi puoi cacciare gli ho detto…”. LAVORATO Mario continuava la sua discussione esaltando la figura di FARAO Vittorio (figlio di Silvio)”.
All’epoca (consiliatura 2007-2012) Francesco Afflitto era consigliere comunale di Cirò (KR) eletto con l’Ulivo e poi trasmigrato nell’Udc. Mario Lavorato, invece, è stato condannato per associazione mafiosa e estorsione a 10 anni e 8 mesi nel settembre 2019 (rito abbreviato Stige 1° grado), condanna ridotta a 8 anni e 8 mesi nel processo di appello conclusosi nel settembre 2021. Nel maggio 2022 stante la sua pericolosità sociale il Tribunale di Catanzaro nei suoi confronti ha disposto un sequestro di beni per un valore di 3 milioni di euro.
Il giornale tedesco Welt nel 2018 scriveva un articolo dal titolo “Il padrone di casa della pizzeria Mario è il padrino di Stoccarda?”. All’interno di tale pezzo viene riportata una nota della procura di Stoccarda del 1994 nella quale Lavorato, in quanto sospetto membro di clan, era “Fortemente sospettato di essere l’organizzatore di trasporti di droga e armi nell’area metropolitana di Stoccarda”. In Germania il Lavorato venne condannato per frode fiscale.
Perchè Afflitto era in auto con un condannato? Perchè durante la conversazione intercettata nella quale Lavorato esalvata la sua vicinanza al clan Farao, Afflitto non ha preso le distanze e non se ne è andato? Domande più che lecite.
Dal reale al virtuale: i supporter social e quella foto con Gratteri
A mostrare la propria vicinanza ad Afflitto con like e commenti sui social ci sono personaggi abbastanza “chiacchierati”. Tra questi i fratelli del boss di Cirò, Giuseppe Nicastri, arrestato dopo lunga latitanza nel 2009 per associazione mafiosa (ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa in data 21.05.2007) e poi condannato definitivo nell’ambito del processo “Bellerofonte”.
Parlo di Anna e Leonardo Nicastri. Quest’ultimo nell’ordinanza di custodia cautelare di Stige del 2017 viene definito dalla DDA di Catanzaro “esponente di rilievo del “LOCALE” di Cirò” (pag. 1048), mentre in altro passaggio “personaggio legato alla cosca cirotana” (pag. 1026).
Inoltre, ad intervenire spesso sulla bacheca Facebook di Afflitto vi è un altro personaggio, che ha commentato anche la recente foto del consigliere pentastellato con Nicola Gratteri.
“Super super super. Cari dottori vi stimo entrambi” scriveva lo scorso 24 maggio Francesco “paolino” Cornicello in calce alla citata fotografia postata su Facebook da Afflitto.
Francesco Cornicello è fratello di Cataldo Cornicello, arrestato qualche mese fa nell’ambito dell’inchiesta “Ultimo atto” della Dda di Catanzaro e ritenuto tra i nuovi vertici della cosca cirotana Farao-Marincola. Viene definito “affiliato al “locale” di ‘ndrangheta di Cirò”. Il suo alias è “Figghiu da Paolina”, per questo il nickname utilizzato su Facebook dal fratello “paolino” porta a pensare che sia una scelta dovuta dal voler sottolineare il legame con il fratello.
E siccome Afflitto non ha mai preso le distanze da tutti questi intrecci (e da altri che via via stanno emergendo, anche se non risulta oggi indagato per questo e va sottolineato), c’è da chiedersi se è davvero un voto in aula sui consorzi di bonifica il vero problema.
2 Comments
Mia madre diceva: “Figlio mio….u megghiu, megghiu, havi a rugna”.
Cara Alessia. Continua così. Vero è che in un territorio come il “nostro” (Calabria) è quasi impossibile essere certi di non avere parenti più o meno “allordati”.
Resta che i “fatti” che tu racconti (ben documentati) dovrebbero indurre i “nostri – del M5S” Consiglieri (a tutti i livelli) ad essere più accorti nelle loro attività di contorno alla politica attiva ed invece, sui social, capita di leggere “strane” rimostranze se non “minacce” nemmeno tanto velate.
Buon lavoro.