La convinzione che l’Unical sia oggi pressoché inutile per il territorio e la comunità calabrese, quella cosentina in primo luogo perché la più vicina, è consolidata e palese a molti. Ne scrivo sull’annunciato libro raccontando quanto sia distante e diversa la realtà di quel campus – di cui non si sa se si chiama Università di Cosenza come dava per scontato all’inizio Giacomo Mancini o di Arcavacata, nome d’origine religiosa che deriverebbe da “Arco Cavato”, dal nome di un arco che custodiva l’immagine della Madonna e secondo un’altra versione dall’esistenza di un’antica fortezza – vedetta. Un piccolo mistero che precede quello attuale, se vale quello ufficiale “della Calabria” o quello ufficioso, ma più veritiero, “di Rende”.
Ma questo è il meno: ciò che è evidente a tutti, quelli che almeno hanno i capelli ingrigiti, è che l’Unical non somiglia neppure un po’ al progetto originale del prof. Nino Andreatta, primo Rettore dell’università senza nome certo.
Ora se vogliamo dare un riferimento identitario a Cosenza dovremmo citare piuttosto il Liceo Telesio, che ha sfornato e sforna fior di talenti, che si dichiarano orgogliosamente “telesiani” e che ancor’oggi è il vero “fiore all’occhiello” della città.
I telesiani si vedono, gli universitari molto meno, in città, che infatti ha poco della classica città universitaria, analoga a Pisa o a Lecce o Bologna ed altre ancora.
So che molti storceranno il naso, perché il prestigio di un Liceo è ritenuto meno prezioso di un’Università. È un grande equivoco perché proprio gli anni che vedono i giovani sui banchi delle scuole superiori – a patto che abbiano docenti all’altezza, senza i quali, non resta che vantarsi di avere le aule più spaziose, laboratori per chimica e fisica, uno spazio attrezzato per fare sport – si matura, si valorizzano le proprie doti naturali, si acquisisce la determinazione a imparare veramente cos’è la vita, non i sunti delle diverse materie per strappare una promozione che, seguita dall’iscrizione a qualche università telematica, ti consegnerà alla benignità della sorte o allo status della tua famiglia.
Ciò che mi preme dire però è altro. La complessità inedita del nostro tempo, lo sfaldamento della geopolitica bi o tripolare, Usa, URSS o Russia, Cina che ci espone a rischi inimmaginabili prima, a causa dell’impreparazione psicologica, culturale e politica del nostro Paese e dell’Europa per costruire un diverso orientamento strategico che deve scontare l’assenza dello “zio d’America”, che ha altre priorità avendo due terzi del mondo che oscilla tra ostilità bellica e voglia di emancipazione dalla potenza americana che non ha meriti e voglia per impedirla.
C’è in Calabria una società nelle sue componenti, un tempo definite borghesi e illuminate, che sia almeno consapevole di questo drammatico passaggio della storia?
C’è in Italia una classe politica – destra o sinistra non importa – che sia pari o migliore di quella tanto bistrattata della prima Repubblica?
C’è spazio per contare su generazioni giovani, specie nel nostro mezzogiorno, per far fare un salto di qualità e di consapevolezza che le chiacchiere vuote e la perdita di senso di cui soffrono e non solo e sempre per loro responsabilità non possono più permettersi?
Ho sempre pensato che la geopolitica e la demografia dovessero prendere lo spazio occupate da discipline obsolete. So di non farmi nuovi amici, ma che senso ha oggi sfornare sociologi con stereotipi in testa che andavano bene negli anni ’60? Cosa sappiamo della composizione per classi di età della nostra. Società e dell’insostenibilità di qualunque forma pur ridotta di welfare, sanità, pensioni, formazione?
Allora scendiamo con i piedi per terra: l’indice di vecchiaia che nel 2022 era pari 193,3 nel 2050 (vuol dire dopo domani) salirà a 297, 4. L’indice di dipendenza degli anziani da 38,0 a 65,3. Il rapporto tra anziani e occupati oggi è 0,6 nel 2050 sarà 1,1. Cioè più pensionati che occupati.
Accennavo prima all’importanza della demografia, che nella gerarchia delle discipline universitarie non è tra le prime.
Cosa ci dice la poco affascinante demografia? Da oltre un decennio gli italiani diminuiscono a ritmo impressionante soprattutto perché facciamo meno figli e gli immigrati per molti solo un problema di ordine pubblico e razzismo (vero Salvini? O la new entry Katia Gentile) non compensano il declino, aggravato dall’emigrazione di giovani in cerca di ambiente che ne riconosca i meriti (ne sai qualcosa Calabria, patria del nepotismo e del clientelismo?).
Infine l’età mediana di 47 anni crescita più del doppio di tutti i paesi d’Africa, Asia che hanno risorse giovanili che noi da anni ci sogniamo, mette a rischio previdenza e welfare, mina la coesione sociale e ci obbliga a chiederci: “dei giovani che ne facciamo? Li impacchettiamo e li spediamo fuori Italia, sud in testa, magari dando loro un incentivo con un bonus, o li affidiamo – se non hanno genitori e nonni in funzione di bancomat – a qualche ONG?
Il discorso non è banale e quindi lo riprenderemo. Non saremo per questo i pedagoghi della Calabria e di Cosenza che mostra senza pudore dei Pellegrini saccenti, come il sottoscritto, sceglie senza dubbio il Pellegrini servente, cazzate e marchette. Anche di questo scriveremo rivolgendoci a chi ha voglia di pensare e di riflettere non di genuflettersi.