C’è una domanda che noi calabresi dovremmo porci spesso: come si vive oggi in Calabria? Molti rispondono decantando la bellezza delle coste, dei parchi naturali o delle virtù che abbiamo per tradizione o per nostra invenzione. Altri rispondono “bene”, ma aggiungono quasi sempre una postilla: basta che ti faccia i fatti tuoi, o la variante me ne sto nel mio orticello.
Sembrano risposte di buon senso ed invece sono il segno di una accettazione passiva dell’esistente che non aiuta la propria terra, che di fatto assolve chi obbliga a dichiarare la propria subalternità e il proprio timore e condanna o delude chi cerca solo di esercitare il ruolo di cittadino libero, attivo, rispettoso della legge ma anche insofferente nei confronti di coloro che considera i “carnefici” o se volete responsabili di una condizione di scempio.
Se andate sulla rete troverete la domanda che ho posto all’inizio anche in una forma più specifica: perché la Calabria è così poco valorizzata? È un modo più elegante di quello che è più ricorrente: perché della Calabria non frega niente a nessuno?
Per ora sempre dalla rete ricavo questa spiegazione per la mancata “valorizzazione”: perché chi dovrebbe valorizzarla, cioè i calabresi (hai letto bene, non ho scritto lo Stato), preferiscono la pigra e ignorante sottomissione al potere, che sia la delinquenza, lo sfruttamento, o anche lo Stato, piuttosto che reclamare da loro stessi libertà e sviluppo.
Ripeto, “da loro stessi”, perché la classe dirigente che è responsabile di questo scempio mica viene da Milano, Roma o Torino…
I pessimi insegnanti, i pessimi imprenditori, i pessimi politici calabresi, responsabili dell’atteggiamento pigro e ignorante dei calabresi, sono calabresi.
Io sono d’accordo con queste parole, non ne sono felice, ma in questi quattro anni vissuti a Cosenza non facendo la guerriglia ma cercando di dare ai cittadini un contributo culturale e civile attraverso una Fondazione e di far sentire il sapore del libero giornalismo – assente e non tollerato dalle nostre parti – ho scoperto di essere solo, un sognatore, una vittima designata, un soggetto da cui è bene tenersi lontano.
Solo pochi giorni fa ho presentato un libro che non è frutto di fantasia, ho preannunciato la creazione di un’Associazione di cittadini che vogliono godere dei diritti costituzionali (non una gang di malfattori), ho registrato come giornale anche se non necessario I Nuovi Calabresi, per rispetto e fiducia nel milione e più di lettori, grato per i loro consensi e commenti positivi.
Ma quando trovo una sala semivuota, quando vedo che tutto questo impegno non frega a nessuno e il solo consiglio che viene ripetuto è lassa perde, cioè fregatene della Fondazione e di ciò che di bello e utile e inedito ha realizzato impegnando professionalità pregiate e un monte di milioni non posso concludere che Sergio Giuliani poteva dare metà del suo patrimonio a Tizio, Caio e Sempronio (come in parte ha fatto), io potevo risparmiarmi anni di pendolarismo da Roma, settimane insonni quando morto Giuliani, in pieno covid, non si era certi di recuperare il testamento fatto sparire da un’avventuriera ucraina e non sapendo come pagare gli stipendi dovetti anticipare – non da qualche inesistente lascito ereditario – € 70.000,00.
Sono questi i pensieri che mi frullano nella mente: ma chi te lo fa fare visto che la grande maggioranza neppure s’è accorta non di me, ma che un gruppo di delinquenti ben protetti hanno occupato per svaligiarla la Villa Rendano. E come reagire a questo crimine?
Voltandosi dall’altra parte, starsene “nel proprio orticello” lontano da Cosenza, fricarsene di Walter Pellegrini e Occhiuto, Caruso, Mungari, quindi per ora congelare l’associazione “E venne il giorno della Calabria” ripensare se valga la pena scrivere i quasi 200 articoli in poco più di un anno e pagare di tasca mia almeno € 1000,00 al mese.
Ci penserò, attendo fiducioso le sentenze di due o tre processi che hanno cambiato verso, liberandomi di avvocati con deficit di lealtà e di competenza. Ma con la consapevolezza che il colpaccio degli usurpatori non resterà impunito, ma la Fondazione e Villa Rendano sono irrecuperabili. Due anni di sputtanamento cosmico hanno bruciato il prestigio, il credito che s’era creato con istituzioni culturali e museali in mezz’Europa. Le pecore belanti cosentine e caproni in testa possono andarne orgogliosi. Cosenza non più solo città della ’ndrangheta ma anche del letame sparso con le pale sui sette colli, quello Trivio in particolare.
Cosenza città di … non c’ è male per attirare turisti.
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Andate avanti a testa alta e con fierezza.