Domenico Macrì, classe 1965, di Nicotera (VV), dal 18 novembre 2021 è il Capo di Gabinetto del Presidente del Consiglio regionale della Calabria in quota Lega, Filippo Mancuso.
Nel suo curriculum si definisce “personalità eclettica e versatile, ha ricoperto importanti ruoli dirigenziali all’interno della Pubblica Amministrazione dimostrando grandi doti manageriali”.
Insomma, Macrì tesse grandi lodi di… Macrì, ma non è tutto oro quel che luccica. Tra parenti massoni, concorsi-farsa, lauree lampo e molto altro, questo ex veterinario dell’Usl di Tropea con una tesi di laurea sulla “Sparganosi in rane congelate provenienti dall’Indonesia” e col sogno di diventare direttore generale del Consiglio regionale della Calabria, è al centro dei rumors di Palazzo Campanella da un po’ di tempo a questa parte.
Il suo mandato scade il 14 maggio 2024, con un impegno complessivo di spesa di 463.897,09 euro. Soldi che sarà dura restituire se verrà accertato che (forse?) sono quasi 20 anni che non ha titolo per fare il dirigente. Ma con una politica connivente e ignorante tutto è possibile. Intanto proviamo a dare una rilettura al curriculum di Macrì.
L’esperienza locale e lo scioglimento di Nicotera
L’anno dopo aver superato terzo anno di scuola superiore in “Omeopatia”, dal 4 giugno 1998 al 3 maggio 1999 Macrì è stato assessore comunale a Nicotera con la giunta di Domenico Pontoriero, rimanendo poi consigliere fino al 22 ottobre 2000. Torna assessore dal 17 maggio 2001 al 17 dicembre 2002 con l’esponente di Alleanza Nazionale, Adilardi Princivalle. Quella Giunta venne poi sciolta per mafia. “Gli accertamenti svolti dalla commissione all’uopo incaricata, confluiti nella relazione conclusiva, avvalorano la sussistenza di forme di condizionamento della criminalità organizzata nell’azione amministrativa dell’ente locale” scriveva l’allora Ministro dell’Interno Beppe Pisanu, specificando che la capacità di determinazione del comune di Nicotera “risulta assoggettata alle scelte della locale organizzazione criminale”, ossia il clan Mancuso di Limbadi.
Nella relazione della Commissione parlamentare antimafia del 20 gennaio 2006 viene riportato un colloquio del 15 gennaio 2003 tra il boss Diego Mancuso e il parente Domenico durante il quale quest’ultimo sottolineava che il Sindaco di Nicotera era un «bonaccione» che aveva affermato di non possedere il coraggio di cacciare le persone dalle case, al che Diego Mancuso rispondeva: «… vuol dire che si comporta bene… e … può stare lì cento anni!».
Da questo bell’ambientino Macrì si è defilato per andare nella struttura dell’allora assessore regionale al lavoro Antonio Mangialavori (padre dell’ex coordinatore regionale di Forza Italia e deputato, Giuseppe) in qualità di “veterinario I livello”.
Dal 21 novembre 2002 per tutta la durata dell’incarico la somma impegnata per lui era di 72.000,00 euro (gravanti sull’esercizio del bilancio regionale 2003), mica bruscolini.
Le “strigliate” alla Provincia di Vibo Valentia
Con una trasformazione alla Sailor Moon su cui torneremo a breve, Macrì diventa dirigente regionale e poi plana alla Provincia di Vibo sotto l’ala dell’ex “Loieriano” Gaetano Ottavio Bruni, che vide la sua carriera politica scemare dopo l’operazione della Dda di Catanzaro “Uova del drago” che coinvolse la figlia Francesca (poi archiviata), compagna all’epoca di Francesco Fortuna, condannato definitivo per un omicidio commesso nel 2004.
Macrì durante la sua esperienza provinciale è stato oggetto di una interrogazione parlamentare al Ministero dell’Interno formulata dall’ex parlamentare Pd Nicodemo Oliverio (Atto C.4/01399) presentata il 24 luglio 2013 in cui veniva scritto che dopo lo scioglimento del consiglio provinciale a seguito delle dimissioni dell’allora Presidente Francesco De Nisi (attuale segretario regionale di Azione), il commissario prefettizio Mario Ciclosi aveva nominato il veterinario (all’epoca era ancora iscritto allo specifico ordine professionale) come dirigente dell’area finanziaria e di altri settori.
Oliverio ci andava giù duro scrivendo: “tale dirigente, secondo una copiosa rassegna stampa locale, viene da tempo messa in relazione ad una delle locali cosche del vibonese (Gazzetta del Sud del 31 maggio 2013 e del 4 giugno 2013); la vicinanza dello stesso dirigente ad ambienti notoriamente conosciuti nel vibonese collegati a realtà associative di diverse osservanze sembra ampiamente illustrata dai giornali locali”.
Il 6 marzo 2015 gli rispondeva il sottosegretario all’Interno Gianpiero Bocci dicendo che il commissario “circa la presunta vicinanza del dottor Macrì ad ambienti malavitosi (…) abbia chiesto alla competente autorità giudiziaria elementi conoscitivi sulla posizione dell’interessato, ricevendo comunicazione di impossibilità del riscontro, ostandovi il segreto istruttorio”. Va certamente specificato che Macrì non risulta essere mai stato indagato, ma il Governo aggiunse, però che “il predetto dirigente è stato oggetto da parte del commissario medesimo di due richiami rispettivamente per il mancato perseguimento di azioni congruenti con gli obiettivi a lui affidati e per rilievi disciplinari sulla presenza in servizio”.
Il “miracolo”: da veterinario a dirigente regionale
In Calabria tutto può succedere, ed è successo. Macrì da dirigente dell’ASL di Vibo Valentia e quando era ancora nella struttura di Mangialavori padre, il 1° settembre 2003 (domanda n. 20731) fece istanza per essere trasferito nel “ruolo organico della dirigenza della Giunta regionale” ai sensi dell’articolo 10 bis comma 1 della legge regionale 18/2004.
Cosa dice quella norma? Che “per motivate esigenze e/o per particolari professionalità, è consentito procedere a comandi e/o trasferimenti di personale proveniente da altri Enti Pubblici nel limite massimo del 3% delle dotazioni organiche del Consiglio e della Giunta Regionale”.
L’ASL di Vibo Valentia con parere 253 dell’8 ottobre 2004 ha dato parere favorevole al trasferimento di Macrì. All’epoca direttore generale era l’esponente dell’Udc Armando Crupi, poi travolto dall’inchiesta “Ricatto” (pm Giuseppe Lombardo) della Procura di Vibo Valentia.
Piccola parentesi: Crupi fu sindaco di Mileto dal 1987 al 1993. Il 2 marzo 2021 il pentito Michele Iannello rispondendo alle domande del pm della Dda di Catanzaro Antonio De Bernardo, ha ricordato dichiarazioni già riferite nel corso del processo Genesi (udienza del 4 novembre 2010). Iannello afferma: “È stato Luigi Mancuso a dire a Giuseppe Prostamo (capobastone della ‘ndrina Pititto, ndr) che alle elezioni comunali di Mileto bisognava appoggiare a sindaco Crupi, poiché lo stesso aveva un fratello che era un educatore del carcere di Vibo e quest’ultimo era amico di Luigi Mancuso”.
Tornando al miracolo, la Regione Calabria con delibera della Giunta n. 899 del 23 novembre 2004, ritenendo che “sussistano i presupposti di diritto e le condizioni di fatto” per l’accoglimento dell’istanza di Macrì, lo ha trasferito nel ruolo organico della dirigenza regionale perchè con il suo “apporto della capacità professionale” vi sarebbe avuto un “permanente rafforzamento della struttura regionale”. Tutto questo con il diploma di specializzazione in “tecnologia avicola e patologie aviarie” (conseguito nel 1994) e con l’iscrizione all’albo dei medici veterinari.
Ciò è avvenuto su proposta dell’allora assessore al personale (quota Alleanza Nazionale) Alberto Sarra ed è proprio al Dipartimento Organizzazione e Personale che all’inizio Macrì viene assegnato.
Altro piccolo particolare: Sarra quest’anno è stato condannato dal Tribunale di Reggio Calabria a 13 anni nell’ambito del processo “Gotha”. Su di lui i giudici scrivono “nell’arco politico di oltre un decennio, è stato uno strumento nelle mani di Paolo Romeo e Giorgio De Stefano, per garantire alla ‘ndrangheta di infiltrare gli enti pubblici locali e per ciò stesso realizzare la possibilità di interferirne sul regolare funzionamento” e che sarebbe stato “espressione soggettiva della ‘ndrangheta” e costantemente disponibile a “raccordare gli interessi privati della criminalità con l’azione degli enti pubblici, per il perseguimento di interessi particolari delle famiglie criminali, e conseguente condizionamento dell’attività amministrativa”.
Il concorso tarocco e gli ulteriori dubbi
Sta di fatto che per quasi 20 anni il veterinario Domenico Macrì ha fatto il dirigente regionale, provinciale e poi di nuovo regionale. Quando è stato chiamato da Filippo Mancuso come Capo di Gabinetto era in servizio presso il Dipartimento “Territorio e Tutela dell’Ambiente”.
Durante la sua permanenza reggina (ancora in essere) è stato approvato l’11 agosto 2022 un avviso pubblico di mobilità esterna per il reclutamento di “n. 1 posto di Dirigente amministrativo – qualifica unica dirigenziale – a tempo pieno e indeterminato”.
A vincerlo è stato Macrì, con una commissione esaminatrice che ha fatto storcere il naso a più di un osservatore. Tra i componenti vi era Angela Labianca “dirigente amministrativo dell’Agenzia per il diritto allo studio universitario della Puglia” e figlia di Lillino Labianca, leader politico del movimento “Sud al centro” e indagata proprio perchè il suo concorso da dirigente, secondo la Procura di Bari, era stato truccato attraverso il falso sorteggio dei commissari. Proprio in “Sud al Centro” milita Sandrino Cataldo, in affari con l’ex assessore di Lamezia Terme Angelo Bilotta con il quale ha istituito a Bari l’agenzia interinale “Just Work!” proprio dove è presente la sede degli esami dell’Università Pegaso (la stessa Università con sede a Napoli in cui Macrì nel 2022 ha conseguito una laurea specialistica biennale in meno di un anno, nonostante ciò non fosse consentito dal regolamento dell’Università. Altro miracolo?).
Sta di fatto che determinazione del 3 novembre 2023 la segretaria generale Maria Stefania Lauria ha revocato la determina che bandiva l’avviso per tutta una serie di illegittimità ravvisate nell’operato della commissione esaminatrice. Questo a seguito del ricorso dell’ex dirigente della Regione Calabria (oggi dell’Emilia-Romagna) Vittorio Elio Manduca.
Proprio Manduca nel suo ricorso osserva che la Regione Calabria non poteva disporre l’inquadramento di Domenico Macrì nei ruoli dirigenziali della Giunta della Regione Calabria. “tale inquadramento, così come il conseguenziale contratto individuale di lavoro e i successivi atti di gestione del rapporto, ivi incluso il conferimento degli incarichi dirigenziali e i trasferimenti da e verso altra amministrazione, risultano non solo palesemente illegittimi, ma radicalmente nulli per violazione di norme imperative di legge ai sensi e per gli effetti dell’art. 1418, comma 1, c.c.” scrive il dirigente.
Questo perchè “non è possibile per un dirigente del ruolo amministrativo essere trasferito ed inquadrato nel ruolo del dirigente veterinario, allo stesso modo un dirigente veterinario non può essere inquadrato nel ruolo dei dirigenti amministrativi, essendo in concreto le due qualifiche e professionalità tra loro distinte e infungibili. Del resto, se non è possibile per un Dirigente Veterinario essere in quadrato come Dirigente Sanitario o Dirigente Medico all’interno della medesima area di contrattazione”
Per Manduca, quindi, Macrì il dirigente regionale non l’avrebbe mai potuto fare. Sarà per non decidere sulle eccezioni fatte nel ricorso presentato che la superburocrate Lauria ha revocato l’avviso? Chissà.
Gratteri, Micuccio, non manca più nessuno
Negli anni accademici 2020/2021 e 2021/2022 Macrì, secondo il suo curriculum, è stato nominato cultore della materia all’Università di Catanzaro nell’ambito della “Scuola di Farmacia e Nutraceutica” nelle materie di Farmacologia, Filosofia Morale e Medicina Legale. I “dominus” della scuola sono l’ex Rettore Giovambattista De Sarro e il professor Vincenzo Mollace, condannato dalla Corte dei Conti nel 2022 a 490mila euro di danno erariale per consulenze e incarichi asseritamente “inappropriati”. Mollace è fratello del Giudice della Cassazione Francesco Mollace, già coinvolto in altro scandalo inerente i suoi rapporti con il pentito Luciano Lo Giudice, definito dal CSM “soggetto coinvolto in indagini per reati di criminalità organizzata anche condotte dallo stesso dott. Mollace”.
Senza contare che in medicina legale il docente di riferimento più importante è Santo Gratteri, fratello del Procuratore più amato dai direttori anonimi del network LaC.
Per concludere, lo zio omonimo di Domenico Macrì è “Micuccio” che è stato tra i più autorevoli esponenti nazionali della massoneria del Grande Oriente d’Italia, rivestendo anche le cariche di “grande ufficiale” e “gran cerimoniere”. Nel suo agriturismo a Città di Castello in Umbria ci andava anche Licio Gelli, per dire.
Su di lui Andrea Mantella, principale collaboratore di giustizia nell’ambito del processo Rinascita-Scott, il 27 aprile 2021, rispondendo in aula al PM Antonio De Bernardo, raccontò di essere stato in carcere con “Micuccio” a Cosenza nel 2012 e proprio lui gli propose di entrare “nella massoneria deviata e clandestina di Città di Castello, in Umbria, con il grado massonico di apprendista” e che in tale loggia massonica segreta vi facevano parte oltre al boss Luigi Mancuso anche l’avvocato Giancarlo Pittelli che con “Micuccio” “si chiamavano “fratelli”.
Insomma, la recente amicizia di Macrì-nipote con il “chiacchierato” consigliere regionale Francesco Afflitto, parente del defunto boss Giovanni Santoro di Cirò è solo l’ultima di tante situazioni ancora tutte da chiarire. Ci torneremo.