Nelle settimane scorse avevo avvertito con un post i lettori de I Nuovi Calabresi (per inciso, tra qualche giorno compiremo il primo anno di vita) che viaggiando e spostandomi da una città all’altra non sarei stato in grado di scrivere il mio articolo o post o storia quotidiani.
Poi non me la sono sentita di fare quanto preannunciato, non perché i miei commenti siano di tale importanza che saltarne qualche uscita provochi chissà quale sensazione di vuoto.
Ho cercato con molta fatica e anche difficoltà tecniche (il wi-fi non è sempre di buona qualità) di scrivere quel che per la mia coscienza (che per me è il solo giudice che conta) era inaccettabile: il silenzio mentre ci sono due guerre (in realtà molte di più come saprete leggendo l’articolo del 15 novembre La fine dell’umanità), decine di migliaia di morti, a Gaza quasi 5000 bambini, non importa se palestinesi o israeliani, un vero genocidio che tale resta anche se orribile è stata l’incursione assassina dei fuorusciti di Hamas oltre le mura, orribili, che circondano la Striscia e buona parte della Cisgiordania.
Si muore ancora con numeri ancora più spaventosi in Ucraina e anche lì nessuno ha il coraggio di dire che a guerra finita l’Ucraina, se ancora paese libero, impiegherà 20 anni per la ricostruzione e quasi altrettanti per raggiungere i livelli dell’economia anteguerra che avevano costretto milioni di ucraini, ma soprattutto ucraine, ad emigrare all’estero, dove è bello andare come turista ma molto meno se vai a raccogliere le olive, a pulire stanze e bagni di ospedali, a fare da badanti a decine di migliaia di nostri anziani, per sentirsi dire – ne ho diretta esperienza domestica – che queste “stroscie” (sic!) rubano il lavoro agli italiani (Dove? Quando?) e non pagano le tasse”.
Per inciso le pagano sulla base dell’importo comunicato all’INPS dai datori di lavoro e se inviassero il denaro a figli e nipoti disoccupati in patria, il Governo applicherebbe un ulteriore prelievo perché “sono più benestanti” dei connazionali residenti.
Ma non è questo che interessa in questo commento.
Quel che rendeva ingiusto pure nella sua sostanziale irrilevanza il mio silenzio era la consapevolezza che quando la sofferenza, la morte, l’assenza di un futuro qualsiasi per centinaia di milioni di persone ciascuno con le sue capacità e possibilità è, spesso senza neppure esserne consapevole, che questo dramma, che si aggiunge ai nostri dolori e difficoltà personali, ci tocca tutti perché ci costringerà a cambiamenti individuali e collettivi, a conoscere attraverso le immagini in tempo reale che morte, fame, miseria, violenza e crudeltà, sono parte del nostro tempo e quindi della nostra vita.
La generazione dei più anziani ha ricordi delle bombe e delle morti dell’ultima guerra mondiale; le generazioni compresa la mia s’erano convinto che mai più si dovesse temere qualcosa di simile. La cultura dell’effimero dominante, l’egocentrismo diffuso, le protezioni che da sociali (cioè valide per tutti) stanno diventando sempre più “familiari” – cioè quel che non fa lo Stato me l’assicurano papà e mammà – la globalizzazione che è stata venduta come una montagna di pepite d’oro ha messo a confronto persone che vivono a distanza di migliaia di chilometri, poverissimi e meno poveri, benestanti e ricchi o ricchissimi, in condizioni di relativa libertà o di totale sua assenza.
Svanito l’entusiasmo che ci è stato inculcato proprio attraverso la “cultura” dell’effimero, della vie en rose e altre baggianate ora coloro che stavano dalla parte più fortunata del mondo soffrono o avvertono i segni della povertà e della precarietà esistenziale, i poveri e poverissimi se possono fuggono e cercano di arrivare nei nostri paesi che seppur malmessi sono l’Eden per loro; e tutti gli altri? S’arrangino e consultando internet scoprono che un tale don Abbondio nei Promessi Sposi fa affidamento alla “scopa della storia”, quella che semplicisticamente il pavido curato invoca come risolutrice del male, portato via in un sol colpo – ne siamo certi – ha (ahinoi) lasciato tutto plasticamente immutato ed immutabile come era prima.
Più convincente e autorevole quanto scrive in un suo saggio Luciano Canfora: “Nel momento in cui forze politiche oscurantiste prendono il sopravvento in Italia e in larga parte d’Europa, giova interrogarsi sul ‘moto storico’. Il suo andamento può sprofondarci in deprimenti bassure o innalzarci verso affrettate illusioni. Tra il cupo fatalismo persuaso dell’eterno ritorno e il pervicace ottimismo degli assertori di inarrestabili ‘sorti progressive’, la lezione che ci viene dalla storia è che, dopo l’esaurirsi di una ‘rivoluzione’, maturano immancabilmente le condizioni per una nuova scossa: di quelle che a don Abbondio apparivano salutari colpi di scopa”.