La notizia, ormai risalente a diversi giorni fa, che i due bulletti della scuola di Rovigo che hanno sparato con pallini di gomma alla loro professoressa e promossi, in prima battuta con il 9 in condotta, è uno dei tanti de profundis per la scuola italiana.
Essa è una replica delle azioni di destrutturazione dell’istituzione scolastica iniziata dal ’68 in poi e ora sempre più spesso reiterata per quel che abbiamo definito “la mancanza di senso” dei giovani.
Sia ben chiaro che mentre il disagio giovanile, addirittura il male di vivere, non va sottovalutato e deve essere posto al centro della nostra attenzione per essere d’aiuto e non solo dei distratti commentatori, quel che è successo a Rovigo e tante altre scuole, in una delle quali l’insegnante è stata addirittura accoltellata, non si risolve con un buonismo d’accatto che per esperienza diretta è solo viltà, paura della solita ispezione ministeriale, delle reazioni delle famiglie che sono di norma contro la vittima perché “mio figlio è sempre educato e certe cose non le fa”.
Insisto sui riferimenti alla lunga stagione sessantottina, che in Italia è durata, non pochi mesi o un anno come nel resto del mondo, ma saldandosi con il terrorismo (che è stato altra cosa, ma non ininfluente nella vita della scuola e delle altre istituzioni) addirittura quasi un decennio.
Non si nega affatto che la scuola, in tutte le sue componenti, di fronte a quella rivolta giovanile, che nasceva dall’incomprensione e dall’avversione, si sia fatta trovare impreparata e spesso inadeguata.
Ma con questo commento ci rivolgiamo a casi che non hanno giustificazioni oggettive e condivisibili non ai grandi (e fumosi) sproloqui dei sociologi, che da noi dovremmo definire tuttologi.
A Rovigo è andata in scena una tipica manifestazione di viltà e mediocrità della scuola. Nella provincia di Cosenza, ne ho già scritto, nei mesi scorsi la stessa esibizione di viltà l’hanno fatta dirigenti, docenti di tre istituti superiori e il solito burocrate di cartapesta dell’ex Provveditorato che non hanno avuto il “coraggio”(?) di mettere per iscritto le lodi e gli apprezzamenti nei confronti di una giovane professionista, poi costretta a dimettersi dal lupetto silano camuffato da capo di Villa Rendano, in occasione della premiazione dei migliori progetti di un concorso per la valorizzazione dei nostri borghi.
Vi risulta che a parte la mossa inefficace del ministro dell’istruzione ci sia stata una reazione di solidarietà verso i colleghi bullizzati ma soprattutto di rivendicazione del valore del proprio ruolo?
In molte scuole del settentrione, siamo a “scherzi a parte” a danno di centinaia di docenti – considerati “morti di fame” in territori dove il denaro è tutto. Meno da noi dove sopravvive più che il rispetto di valori tradizionali la voglia di non “esporsi” alle malelingue locali.
Questa nota ha un contenuto e un obiettivo limitato ma – non pretendo che sia condiviso da tutti – ha alle spalle un percorso pluridecennale di errori e inadempienze.
Il corteggiamento ai “sessantottini” – veri e fasulli – si è risolto nella destrutturazione della scuola, che aveva bisogno di riforme incisive e non di goliardate con slogan “contro tutto” dalla guerra in Vietnam al nozionismo, intesa come conoscenza dei fatti della storia, della letteratura, di tutte le discipline con una didattica più stimolante.
In quegli anni che la TV dovrebbe ricordare pescando nelle sue bacheche si è giocato con il libretto rosso di Mao, con la concorrenza tra un PCI che prima di essere protagonista positivo nella lotta al terrorismo “si confrontava” (verbo da bandire dalla lingua italiana) con “i compagni che sbagliano”.
Ricordo che fu pubblicato un libro – cito a memoria – della scrittrice e insegnante Ronchei titolato più o meno “Ragazzi miei, rivoluzionari immaginari” che non carezzava il pelo ai giovani che passavano da un’occupazione della scuola a “seminari sul Capitale d Marx” (sarò stato una testa di legno ma per capire il sacro testo oggetto dell’esame universitario su Storia delle dottrine economiche faticai come non mai) e quindi fu considerato “reazionario” e messo all’indice.
Ripeto, non pretendo di fare un sunto di un tratto non breve della nostra storia recente, ma solo sottolineare che le coltellate o l’impallinatura sono la replica stupida di molte anticipazioni del passato, con motivazioni serie e meno serie, ma con una costante, il professore, anche se bravo e impegnato, è solo a far da bersaglio a freccette, pallini, proiettili di carta perché il nostro Paese preferisce produrre slogan e non governare le molte problematicità che l’affannano. Siamo sì “un popolo di navigatori”, ma di quelli sibarcamenano.