Petilia Policastro è un borgo di meno di diecimila abitanti nel crotonese. Le cronache regionali se ne sono occupate di sfuggita, se non nei momenti sensazionalistici derivanti da inchieste o questioni eclatanti. Invece è nel quotidiano, quando cala il silenzio e si spegne il riflettore, che occorre porsi (e porre) domande e porle soprattutto a chi governa, ad ogni livello. Si assiste spesso da parte di vari politici di professioni ad ambiguità, contraddizioni o “paraculate” varie, quando, invece, servirebbe rettitudine e serietà per un unico semplice motivo: A Petilia Policastro, nel crotonese, c’è la ‘ndrangheta. È una circostanza non supposta, nè sussurrata da “chiacchieroni” di paese, ma acclarata da pronunciamenti dei Tribunali, da ultimo, la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro resa pochi giorni fa nell’ambito del processo “Tisifone” e la sentenza della Corte di assise d’appello di Catanzaro (ancora non definitive), resa a seguito del processo “Eleo”, dello scorso 18 dicembre.
Altre sentenze precedenti cristallizzano l’esistenza della locale di Petilia, come quella della Corte di assise di Catanzaro del 26 settembre 2003 (processo “Eclissi”), nonchè la sentenza del Tribunale di Crotone del 19 luglio 2010, sul tentato omicidio di Giuseppe Liotti, anch’esso aggravato dalla finalità di agevolare la consorteria mafiosa di Petilia Policastro. Andando ancor più indietro, già con sentenza del 27 maggio 1999 del Tribunale di Milano (divenuta irrevocabile nel 2000), resa a seguito dell’operazione “Storia infinita” – procedimento 8938/94 R.G.N.R) sono emerse le infiltrazioni in territorio lombardo di alcune cosche calabresi e, fra queste, del clan di Petilia Policastro.
In passato, esponente di spicco della locale petilina, per come emerso anche in “Storia Infinita”, è stato Floriano Garofalo, detto “Fifì”, originario della frazione Pagliarelle e fratello della collaboratrice di giustizia uccisa nel 2009, Lea Garofalo. Anche “Fifì” venne ucciso, nel 2005, così come il padre Antonio, anch’esso “uomo d’onore”, ucciso nel 1975 e lo zio Giulio, ucciso a sua volta nel 1981. Era l’epoca delle faide di ‘ndrangheta (in particolare con la famiglia Mirabelli e Comberiati), molto diversa da quella odierna più dedita al consociativismo e alle infiltrazioni, anche istituzionali, per il tramite dei “colletti bianchi”.
Dal Comune un manifesto per il killer di Lea
La questione del “manifesto” è stata l’ultimo argomento eclatante che ha accesso i riflettori su Petilia Policastro. Era il luglio del 2023 e la notizia venne lanciata sulle testate nazionali e fece indignare (a tempo determinato) tutta la Calabria. Di cosa parliamo, per gli smemorati, è presto detto: il comune di Petilia Policastro aveva fatto fare un manifesto funebre a seguito della morte dell’ergastolano Rosario Curcio, detto “Patatino”, originario della frazione Camellino e nipote omonimo di “Pilurussu”, ritenuto dalla Dda di Catanzaro uno dei capicosca della ‘ndrina di Petilia. Sullo zio del “Patatino”, il pentito Domenico Iaquinta dichiarò in un interrogatorio che “È u capu e Petilia”.
“Patatino”, invece, è uno dei killer di Lea Garofalo. Si impiccò nel carcere di Opera dove scontava la pena a vita, per come confermata dalla sentenza della Cassazione 1435/2014.
“La fase del sequestro attribuita al Curcio (…) configura certamente il concorso nell’omicidio della donna” metteva nero su bianco la Suprema Corte nel 2014.
“Il sindaco Simone Saporito e l’Amministrazione comunale partecipano al dolore che ha colpito la famiglia Curcio per la perdita del caro congiunto” faceva scrivere, invece, il Comune di Petilia Policastro nel luglio del 2023. “Davanti alla morte si è tutti uguali. Sarebbe stata una discriminazione al contrario non farlo” disse subito il Sindaco, salvo poi scusarsi in un video, definendo un “automatismo” l’uscita del manifesto.
Intanto su “Tik Tok” veniva pubblicato un video del funerale di “Patatino” e la scritta “resterai sempre con noi”, con annesso cuoricino. Nel video, palloncini bianchi e applausi di tributo. Dal video emerse come a presenziare al funerale vi fu anche l’assessora con delega ai servizi cimiteriali, Maria Berardi che rassegnò da lì a poco le dimissioni.
“Caro Sindaco, caro Simone, il mio sacrificio spero possa servire a te ed all’intera comunità di Petilia Policastro a dimostrare ancora una volta con i fatti ed a testa alta che siamo, per la stragrande maggioranza, un popolo di gente per bene che crede nella legalità e collabora con le Forze dell’Ordine” si legge nella lunga lettera nella quale mai l’ex assessora fa riferimento all’ ‘ndrangheta, ma sottolinea che era “al funerale” perchè sua nuora è Francesca Curcio (nipote del killer “Patatino”, ndr) fidanzata da 14 anni con suo figlio. La stessa Curcio partecipò ad un altro manifesto di cordoglio al parente defunto, mentre quando la Berardi si candidò alle comunali del 2021, scrisse su Facebook: “Sempre con te… in bocca al lupo cara suocera”.
Nomine e silenzi forieri di imbarazzo
Spento il riflettore, il silenzio. Ma ricapitoliamo: sempre nel luglio 2023, cavalcando l’onda mediatica, Wanda Ferro, sottosegretaria di Stato delegata al Dipartimento per gli affari interni e territoriali del Ministero dell’Interno (nonchè, tra l’altro, alla destinazione dei beni sequestrati e confiscati dalla criminalità organizzata, SIC!), stigmatizzò la questione del manifesto al killer di Lea Garofalo come una “iniziativa inaccettabile” e un “inchino all’ ‘ndrangheta”, aggiungendo che “Chi rappresenta le istituzioni deve scegliere sempre da quale parte stare. Il sindaco ha mostrato di scegliere la parte sbagliata”.
Parole dure che, però, stridono con le successive azioni. Il 31 luglio 2023 la deputata del M5S Stefania Ascari ha presentato una interrogazione a risposta scritta al Ministero dell’Interno. Interrogazione che, a distanza di 8 mesi, non ha ricevuto alcuna risposta.
Anzi, in un certo senso sì, dato che l’assessore regionale di Fratelli D’Italia, Filippo Pietropaolo, indicato proprio da Wanda Ferro come componente della Giunta Occhiuto, ha presenziato a inizio marzo ad una iniziativa religiosa a Santa Spina di Petilia Policastro, unitamente al suo autista, un altro “ferriano”, il vicepresidente della provincia di Catanzaro, Francesco Fragomele, con tanto di photo-opportunity con il sindaco di Petilia contro cui la sottosegretaria aveva pubblicamente puntato il dito.
Una vicenda a lieto fine “politico”? Probabile, se si pensa che quello che la già assessora Maria Berardi da Camellino nella sua lettera di dimissioni al sindaco chiamava “sacrificio”, dopo pochi mesi, è stato “ripagato” con la nomina diretta nello staff del sindaco Saporito del nipote, Aurelio Berardi (chiamato “bello di zia” dall’ex assessora). Incarico di un anno, rinnovabile, come da decreto sindacale n. 1 del 5 febbraio 2024. Il tutto, nel silenzio di tutti i politici regionali che avevano urlato allo scandalo.
La sorella di Lea e quel concorso “chiacchierato”
Un altro silenzio pesante è stato quello di Marisa Garofalo, sorella di Lea e del boss Floriano-Fifì, forse troppo impegnata ad indignarsi per la serie tv “The Good Mother” piuttosto che per la realtà petilina. Il sindaco dopo l’eco mediatica del manifesto al “Patatino”, dichiarò di averle chiesto scusa. Pace fatta, nessuna polemica.
Non va sottaciuto che Marisa Garofalo, testimone di giustizia, si è vista negare nel 2021 dal Viminale (in particolare dal fondo di rotazione per le vittime di reati di tipo mafioso) i 120mila euro di risarcimento che le sono stati giudiziariamente attribuiti a seguito della costituzione di parte civile nei processi inerenti l’omicidio della sorella. La motivazione? “Per la stretta contiguità della sua famiglia originaria alla criminalità organizzata di Petilia Policastro nella quale ha continuato a vivere” e perchè “non ha mai manifestato il proposito di volersi affrancare dall’entourage familiare ‘ndranghetista, e la condotta dissociativa con la costituzione di parte civile si è manifestata solo successivamente al tragico evento”.
La stessa, però, non solo ha continuato a vivere nel suo paese, ma si è candidata alle regionali del 2021 con Luigi De Magistris, ottenendo 456 voti, dei quali 360 a Petilia Policastro (il 9,39% dei voti totali espressi nel paese), lo stesso giorno in cui si è votato per le comunali petiline che hanno eletto il sindaco Saporito.
Intanto, proprio durante quella campagna elettorale, nel mese di settembre 2021, il comune di Petilia Policastro (all’epoca commissariato) espletava le prove di un concorso indetto nel 2019 per 4 posti da istruttori amministrativi di categoria C a tempo indeterminato.
I primi due vincitori, assunti con determinazione della responsabile del settore “servizio del personale” Maria Nicotera, n. 74 del 27 settembre 2021 (5 giorni prima delle elezioni), risultavano essere rispettivamente Maria Rosaria Vona, fidanzata (e attualmente convivente) del consigliere comunale di maggioranza Domenico Fico e Rosario Garofalo, figlio della testimone di giustizia Marisa.
Un piccolo particolare: Nella commissione di concorso vi era Michele Scappatura, dirigente della provincia di Crotone, rinviato a giudizio l’anno scorso per truffa, falso ideologico e abuso d’ufficio. Nel 2021 era notorio che fosse stato indagato per fatti dell’epoca in cui era dirigente del consorzio privato Copross, perchè il caso (divenuto mediatico) riguardava una donna divenuta dirigente INPS (e proveniente da Copross) divenuta tale senza alcun concorso.
C’è da chiedersi, però, perchè il commissario prefettizio di Petilia Policastro, Domenico Mannino, la viceprefetta aggiunta Roberta Molè ed il dirigente Rocco Cataldi, hanno permesso che si svolgessero le prove di concorso indetto nel 2019 proprio durante la campagna elettorale per le comunali? E perchè non hanno storto il naso per la presenza nella commissione di concorso di un indagato per vicende inerenti (in quel caso, la mancanza di) concorsi?
In più, la Vona sarebbe incompatibile con l’impiego pubblico, dato che è titolare dal 2019 di una impresa agricola che ha ricevuto contributi regionali, che nel 2022 risultava nell’elenco ufficiale degli operatori (produttori) “Olio di Calabria” IGP della Regione e che al 31 dicembre 2023 vantava 3 dipendenti. Il procedimento di incompatibilità ai sensi dell’articolo 53 del D.lgs 165/2001 dovrebbe attivarsi d’ufficio, ma magari c’è chi finge di non vedere.
Ditte fantasma e affidamenti diretti
Non solo concorsi, anche soldi pubblici elargiti in maniera tale da far sorgere più d’un dubbio. È il caso dell’imprenditore Armando Apa, la cui omonima azienda artigiana è nata nel maggio 2022 (con sede legale presso la sua residenza) per poi cessare ogni attività nel dicembre del 2023. In questo breve lasso di tempo la neonata azienda ha ricevuto più di un affidamento diretto dal Comune di Petilia Policastro. Un piccolo particolare: Apa, prima di costituire l’azienda, era dipendente del marito dell’assessora comunale Carmelina Comberiati. Lo stesso Apa compare ancora nelle immagini (anche quelle del 2023!) della pagina social de “L’arte del ferro”, azienda del first gentlement dell’assessora petilina. C’è chi si chiede se abbia mai davvero smesso di lavorare lì, ma il legame resta comunque.
Altrettanto scandalo ha destato l’affidamento diretto di lavori per 7.686,00 euro nel 2023 alla ditta catanzarese D.M.CO.GE. di Domenico De Giorgio, marito di Daniela Mazza, sorella di Catiuscia, ex vicesindaca e consigliera comunale di Cardinale in quota Forza Italia, nonchè moglie dell’assessore comunale di Petilia Policastro con laurea in chitarra classica, Antonio Ierardi detto Tonino, ex talliniano. Come fa’ una ditta di Cardinale (poco conosciuta) a ricevere un affidamento diretto a Petilia Policastro, rimane un mistero. L’assessore pro tempore, recentemente “trombato” alle elezioni provinciali di Crotone dalla sua stessa maggioranza, esclude il “familismo” e per lui sarebbe “colpa” dell’Ufficio tecnico (il cui responsabile è Francesco Trovato). Di questo e di altre “incongruenze” e “ambiguità” amministrative ne riparleremo.