Su molti giornali campeggia la foto di una bellissima bimba, Polina, ucraina di 8 anni.
Questa bambolina è stata falciata dai colpi di mitra dell’invasore russo. Una bambina che sorrideva alla vita e che alla vita è stata negata. Con lei e con tanti bambini la furia omicida della guerra diventa ancor più intollerabile. Ci sbatte in faccia l’indegnità di cui è capace l’essere umano. Ci obbliga a chiedere perdono, noi che non siamo o non ci sentiamo responsabili di queste morti e di tanta sofferenza, ignorando che la colpa di pochi è in realtà una colpa di tutti.
Abbiamo fino a pochi giorni fa pensato che ciò che accade lontano non ci riguardi più di tanto. Che la pietà, la pietas che esprime un sentimento più complesso e inclusivo, dovesse essere riservata, centellinata, solo a favore di chi ha un legame diretto – familiare, amicale, sociale – con noi. C’è chi ha persino condiviso frasi come “Prima gli Italiani” scimmiottando lo slogan America First di un presidente che ha straziato l’immagine di quegli Usa a lungo sinonimo di “sogno americano”, percepito come tale, non reale.
Abbiamo detto o pensato che la morte fosse insopportabile se si avvicinava a noi e al nostro piccolo mondo. E fosse invece, quando lontana, un evento sgradevole da gettare in una macabra statistica come il cadavere di uno sconosciuto si butta nella fossa comune. Senza nome. E ora anche senza la Croce cristiana, perché nella confusione delle fedi si preferisce non ostentarne nessuna.
Polina un nome lo aveva e di lei ci occupiamo facendone il simbolo della morte ingiusta e insopportabile come è sempre quella dei bambini. Perché con loro la mano nera non ha tagliato una parte sola di una pianta ancora vitale, ma l’ha sradicata tutta, ha impedito la nascita di fiori e di frutti. E c’è cosa più ricca di una vita infantile che nel tempo a lei dovuto fiori e frutti ne produrrà sicuramente? Le spine, cioè l’inevitabile dose di sofferenza che la vita di tutti non riesce ad allontanare da sé, non sarebbero mancate a Polina come a tutte le creature. Sarebbe stato doloroso, ma la ricchezza della vita – anche quando non accompagnata dal luccichio della ricchezza materiale – avrebbe avuto la meglio. A Polina sarebbe stata offerta almeno la possibilità di provarci.
Per Polina, per tutti i bimbi del mondo sepolti senza nome e senza croce in fondo al mare, spiaggiati come balene lillipuziane, il diritto al futuro è stato negato. Non dalle spine che nascono tra i fiori. Non dalla sventura della povertà. Ma dalla mano che imbracciava un’arma che non ha mancato il bersaglio. Questa volta il bersaglio aveva un nome, un viso bello, un sorriso dolce. Si chiamava Polina ed era nata in Ucraina. Per lei, per tanti altri, il Paese sbagliato.