È stata approvata la legge che prevede che chi vince il concorso per entrare in Magistratura si sottoponga ad un test psicoattitudinale. Immediata e prevedibile la reazione della casta già in possesso di toga, ovviamente in nome dell’autonomia e libertà dei magistrati, venato di populismo il commento del Procuratore Gratteri che propone di estendere l’obbligo del test anche a politici e autorità istituzionali, l’una e l’altro – reazione e populismo – parte di una commedia tragicomica.
Il test l’ho fatto anche io quando ho partecipato alla selezione per essere ammesso alla scuola ufficiali di complemento nell’Aeronautica. Eppure la mia qualificazione non prevedeva che un caccia bombardiere lo vedessi anche solo con il cannocchiale. E l’esito comunicato dallo psicologo selezionatore fu sorprendente: “Quoziente intellettivo (ndr che significa anche solo persona che ragiona con la propria testa) alto e pertanto… di scarsa compatibilità con il ruolo di un ufficiale”. Cito a memoria, le parole possono non essere fedeli ma il concetto lo è.
Per soddisfare la curiosità dei lettori informo che per superare il grave handicap di ipotetico “eccesso di intelligenza”, pur avendo superato le prove con risultati ottimi dovetti farmi “raccomandare” da un amico Generale dell’Aeronautica.
Ora torniamo all’attualità. Il provvedimento è banale, non unico nella pubblica amministrazione, è sostanzialmente un sotterfugio per non fare apparire la sostanziale marcia indietro del Governo nel rapporto con la casta giudiziaria.
La sola riforma contestata molto blandamente dai togati è quella Cartabia per due motivi principalmente: perché lascia ai giudici del processo civile la decisione se fare tutta la fase istruttoria (quella per intendersi che prevede i testimoni, la produzione di documentazione sopravvenuta, soprattutto consente con i testimoni un vero contraddittorio, per evitare che una parte dica e scriva quel che vuole).
Ai giudici penali detta tempi così stretti che molti imputati eccellenti potranno godere di una prescrizione o immunità di fatto senza neppure doversene vergognare.
Ora per la non lunga frequentazione dei tribunali come Avvocato – ma condannato con Decreto penale senza sapere perché e per come – la sola cosa che fa scandalo e rende spesso inutile o dannoso il ricorso alla giustizia è la totale intangibilità dei magistrati, ammenoché non prendano a fucilate qualcuno o non vengano ripresi quando ricevono una bustarella meglio se con relativa ricevuta.
Quando scrivo un articolo di solito parto dalla realtà, da un caso concreto. E cosi faccio anche oggi. Avevo informato i lettori che avevo ricusato una giudice con un atto di 10 pagine con allegati perché non aveva capito (o voluto capire) un tubo della controversia per abuso di diritto compiuto dai traditori, e che aveva di fatto anticipato la sentenza comunque prevista per il 2026.
Ovviamente la Corte di Appello che riporta fedelmente le mie accuse di assoluta parzialità del giudice conclude respingendo l’istanza non perché non sia stata mandata a ramengo la terzietà del giudice – che è la prima e inderogabile obbligazione per chi deve assegnare torti e diritti ai cittadini – ma perché non prevista tra i casi dell’art. 37 del Codice di procedura civile. Vi risparmio la pedanteria che copre la quasi impossibilità di ottenere la ricusazione del giudice che oggi in teoria sarebbe riportata nel “registro” del magistrato.
In sintesi per essere ricusato devi essere parente o amico noto e intimo delle parti, devi esserti occupato di loro in altro processo, non devi aver avuto rapporti o tresche con loro.
Ora il giudice che ha questi precedenti non aspetta la ricusazione altrimenti impossibile, casomai se il collega lo consente gli fa una segnalazione detta anche raccomandazione che non lascia tracce.
Questa è la (IN)Giustizia italiana. Sic transit gloria mundi.
Spero di aver risparmiato ai colleghi de ICalabresi un altro titolo già utilizzato ad capocchiam: La Fondazione stravince al Tribunale di Roma (Non le stesse parole ma lo stesso concetto “umidificato”).
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Disamina perfetta