Non sono sicuro che, come si dice, Roma sia la città più grande della Calabria, perché tra prima, seconda, terza, ecc generazione i calabresi di origine sono o sarebbero centinaia di migliaia. E quindi più numerosi degli abitanti della città metropolitana Reggio e a maggior ragione di Cosenza anche della futura o futuribile “grande Cosenza”.
Comunque, numeri a parte, calabresi e cosentini in particolare ce ne sono tanti. Molti hanno casa sia a Cosenza che a Roma, dove vivono prevalentemente, e quindi non si sa bene come vanno considerati.
Quale è una caratteristica comune a questi nostri concittadini, immigrati dalla nostra città? Il fatto che di solito si frequentano più che con qualunque altro, che si vedono anche in circoli più o meno esclusivi – quelli che si considerano due palmi da terra – si scambiano visite a casa per giocare a burraco e tanto per cambiare per parlare di Cosenza e altri cosentini, insomma qualcuno dice che siano diventati una specie di lobby.
Cosentini sono stati due Rettori universitari, alla Sapienza e un carissimo amico fin da bambini il prof. Aldo Brancati a Tor Vergata. Altri occupano posizioni importanti negli ospedali, il prof. Crea al Gemelli, insomma ce n’è per tutti.
Penso che noi cosentini e calabresi siamo in grado di dare il meglio di noi stessi, ma stando lontano dalla nostra regione e questo non è un complimento per Cosenza o altre città, perché significa che in casa nostra non ci sono vere occasioni di alta formazione, di occupazione in ruoli professionali adeguati alle competenze, perché nepotismo e clientelismo la fanno da padroni salvo poche eccezioni. La stessa Unical e la Magna Grecia di Catanzaro a detta di chi le conosce a fondo non sono o non sarebbero le isole felici della meritocrazia. Di Catanzaro ha scritto di recente su I Nuovi Calabresi la brava e curiosissima Alessia Bausone e le scrivemmo noi su ICalabresi, quello che aveva “il vizio” di denunciare scandali, prepotenze e violazioni di legge, citando il caso di una giovane Architetta, mi pare, che aveva avuto alla Facoltà di Reggio il posto che le spettava di diritto solo dopo nove anni di battaglie legali tra TAR e Consiglio di Stato.
Il fatto che ogni anno lascino la Calabria migliaia di giovani laureati sembra non fregare a nessuno. Si aprono spazi per figli e nipoti privilegiati.
Secondo la mia opinione, che vale poco ma è però ferrea, questo è un danno imperdonabile fatto alla Calabria dai suoi “padroni” più o meno legittimi e invece viene accettato passivamente dai cittadini perché per loro è un “fatto naturale” che i padri e le madri in Calabria si diano da fare per piazzare la prole anche a prescindere dai suoi meriti ma per diritto ereditario.
Torniamo ai cosentini che popolano Roma e tante città del nord Italia. Ne ho conosciuti tanti, frequentati meno non per supponenza ma perché ho speso molti anni della mia vita lavorando, letteralmente giorno e notte, facendo per anni più lavori, giornalista e professore, consulente e dirigente di grandi società, senza considerare il tempo, non poco, occupato dallo studio per prendere due lauree e vincere cinque concorsi pubblici.
Vi assicuro che sono tanti che fanno questa trafila perché non hanno e non vogliono ricorrere alle marchette delle raccomandazioni, diventate peraltro molto meno efficaci oggi in tempo di crisi globale.
La domanda che ho in parte anticipata è questa: queste persone, giovani in particolare ma non solo, che tipo di rapporto hanno con la loro città natale? Alla domanda tu ritorneresti a viverci se ne avessi l’opportunità? La stragrande maggioranza risponderebbe di no, con un’aggiunta di severità per coloro che non hanno voluto offrire loro nessuna opportunità. In un’indagine fatta a Villa Rendano collegandoci da remoto con una cinquantina di nostri corregionali da anni all’estero e spesso con ruoli professionali importanti abbiamo rilevato che la quasi totalità ha risposto con un secco no. Alcuni ne hanno spiegato le ragioni e mi piace ricordare un giovane ingegnere cosentino già segnalatosi per la sua preparazione e partecipazione attiva alla vita universitaria, un leader per intendersi, che pur escludendo un ritorno a casa, da Dubai credo, con una punta di legittimo rancore per l’Unical, si dichiarava come altri disponibile a sostenere progetti a patto che fossero patrimonio dell’offerta culturale della Fondazione Giuliani.
Naturalmente quella che non è in mano a spicciafaccende che confermano le ragioni del rifiuto ad ogni ipotesi di ritorno.
Ci pensino i politicanti e i loro ruffiani che si sono resi complici di una specie di rapina a danno di una Fondazione no profit.
Non è Franco Pellegrini che li svergognerà ma il messaggio che arriva, eccome se arriva, a Cosenza e in Calabria addirittura con un modesto blog, ancora non registrato come testata giornalistica al Tribunale, che è letto dal 30% dei cosentini, da 10% di “romani”, dal 5% di “milanesi” e in misura ovviamente poco più che simbolica in una decina di paesi stranieri. Ma non sono i numeri pure imprevisti che contano sono le migliaia di commento, condivisioni, apprezzamenti. Ne ho contati malamente circa 13.000.
L’altra domanda è perché persone che non hanno ragioni per non ritornare a vivere nella terra e città natale che la stragrande maggioranza continua ad amare, pur non avendo più impegni di lavoro e figli e nipoti molto spesso lontano?
Consentitemi una risposta che è un po’ arrogante e presuntuosa. Perché sanno che se non fanno i pensionati obbedienti e privi da velleità critiche severe su come è stata snaturata e deprivata di tante sue qualità la Calabria, ma io dico Cosenza debbono aspettarsi una replica delle Franco Pellegrini history o forse crime, che potevo prevedere (avevo scritto un libro rimasto clandestino da queste parti, guarda caso pubblicato dall’editore Pellegrini – Walter – e praticamente neppure presentato da uno dei “presentatori di libri” a cinque stelle, si fa per dire, che si titolava profeticamente “Solo andata”), ma non immaginare così oscena, violenta, illegittima perché fatta ad una donazione di fatto voluta da Sergio Giuliani e condivisa falsamente dal sindaco pro tempore.