Tutte le regioni meridionali si sono pronunciate contro la cosiddetta Autonomia differenziata che rischia – questa è la previsione condivisa – di allargare il fossato che si è scavato tra il Settentrione e il Mezzogiorno d’Italia.
In realtà nel fronte del no c’è un’eccezione costituita dal Presidente della Calabria Mario Occhiuto, che ha motivato la sua decisione in controtendenza in un intervista su Il Sole24Ore dicendosi convinto che “attuare per interno la Costituzione possa rappresentare una grande opportunità per le regioni del Sud – conclude – Non mi riferisco soltanto all’articolo 116, quello appunto sull’autonomia, ma anche al 117 e al 119, che regolano i diritti sociali e civili, che vanno garantiti in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, e la perequazione. La definizione dei livelli essenziali delle prestazioni secondo i fabbisogni standard può dare al Sud un vantaggio rilevantissimo”.
L’opinione degli altri Presidenti delle regioni meridionali è diversa ed è riassunta con fedeltà e chiarezza dall’economista campano Pietro Spirito, che certo non può essere sospettato di “collateralismo” con le politiche, condizionate da populismo e clientelismo modello De Luca, che ha contribuito ad una frattura territoriale, economica e sociale ormai ai limiti della sostenibilità in un contesto nazionale formalmente unitario. Anche se le forze politiche pensano che la vita del nostro Paese inizi ogni volta che cambiano le maggioranze di governo, che consente a quelle uscite sconfitte dal voto e di fingere sorpresa e scandalo, non è facile non rispondere dei guasti di un percorso che esse hanno prodotto al pari di quelli che rimproverano oggi ai partiti di maggioranza. La politica o meglio la storia politica non è fatta solo di bianco e nero, puri e impuri, costruttori e distruttori. Insomma l’innocenza virginale non è invocabile da parte di nessuno.
Come possiamo riassumere ciò che è passato e ciò che si teme per il futuro da un osservatore meridionalista?
Tutto inizia con la modifica del Titolo V della Costituzione, a firma Bassanini ma voluta con superficialità dal Centro sinistra.
È stata la riforma federalista dello Stato, pasticciata e con poca lungimiranza, che ha modificato l’architettura delle responsabilità tra Stato e Regioni secondo l’originario assetto della Costituzione: prima erano definite le competenze esclusive delle Regioni, e su tutto il resto era lo Stato ad avere responsabilità. Ora la carta fondamentale viene rivoltata come un calzino: ad essere definite sono le competenze statali, e su tutto il resto sono le regioni ad avere potere legislativo.
A ventuno anni distanza da questo riassetto dei poteri, possiamo misurare cosa è effettivamente accaduto: si è svuotato il potere delle amministrazioni statali, si sono ulteriormente differenziati i trattamenti tra i cittadini sui territori nella erogazione dei servizi, si sono gonfiati a dismisura i poteri delle Regioni, sino al punto che i Presidenti si fanno chiamare Governatori, come accade nelle Nazioni che hanno assunte una forma compiutamente federale.
La qualità della azione amministrativa è peggiorata. La burocrazia è cresciuta, mentre efficacia ed efficienza sono andati a modificarsi tra territori a maggiore adeguatezza di servizi e territori sempre più marginali. Il Mezzogiorno ha segnato, nel corso di questi ultimi due decenni, un arretramento rispetto agli indici di performance del resto del Paese.
Questa è la realtà che consente ad Occhiuto, magari anche solo per fedeltà al suo partito e alla maggioranza, ma non senza ragioni obiettive, la sua defezione dallo schieramento meridionale del NO.
Per rendersi credibile con il suo elettorato Occhiuto assicura che «La Calabria ha oggi un atteggiamento senza complessi e di questo ne sono orgoglioso, come calabrese. Ecco cos’è cambiato da novembre: il testo è cambiato ed è cambiato perché l’abbiamo fatto cambiare noi dicendo: prima i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni, e poi l’autonomia differenziata».
Occhiuto ovviamente fa sua la garanzia che i LEP, la cui determinazione rientra nelle materie esclusive in cui lo Stato ha la competenza legislativa esclusiva come prevede l’art. 117 della Costituzione, saranno definiti prioritariamente. È molto probabile che sarà così, ma l’iter di approvazione è lungo e non predeterminato.
Per uscire dalla ambiguità degli acronimi, ricordiamo che la legge di Bilancio 2022 ha portato con sé un’importante novità in materia di federalismo fiscale. Sono stati fissati al suo interno due livelli essenziali delle prestazioni (LEP) (asili nido, assistenti sociali) e poste le condizioni affinché sia definito un terzo (trasporto studenti con disabilità). I LEP sono gli standard minimi di servizi e prestazioni che lo Stato deve garantire a tutti i cittadini, indipendentemente dal luogo di residenza. In particolare, i LEP sono propedeutici ad attivare il fondo perequativo, previsto dal nostro federalismo fiscale, di natura solidale e non competitiva, per affiancare alla gestione locale delle risorse, un contributo nazionale che rimedi ai divari storici e strutturali di alcuni territori.
C’è da fidarsi? Il dato certo è che ad oggi la perequazione è rimasta inapplicata, a favore del metodo di calcolo della “spesa storica” che consiste nel dare agli enti locali le stesse risorse dell’anno precedente, con un aumento percentuale fisso.
Un meccanismo accettabile ed equo? Niente affatto perché premia gli enti con elevata spesa, in modo da non penalizzare chi ha molte entrate proprie e un sistema di servizi già sviluppato. Con effetti però potenzialmente distorsivi. I comuni con più spesa infatti possono essere sia quelli che chiedono ai propri cittadini un maggior sforzo fiscale, ma anche quelli già più dotati di risorse.
La Calabria e altre regioni meridionali non rientrano in questo perimetro.
La soluzione è molto semplice ma gravida di effetti anche positivi. Il tempo della tollerabilità di modelli gestionali inefficienti e clientelari, tanto costosi quanto privi di qualità, la selezione delle risorse umane con un occhio e mezzo chiuso sulle competenze e sulle capacità, in sintesi una politica dequalificata e quindi incapace di governare con efficienza, controllo dei costi, ed equità è finito. Non lo decide né Giorgia Meloni né Ely Schlein né Giuseppi Conte. L’ho scritto: l’Italia è nell’attuale quadro economico come un treno con 20 carrozze, tante quante sono le regioni. Quella o quelle con “le ruote quadrate” alla prima stazione con binari che non servono al traffico ferroviario verranno staccate e mandate in rimessa. Senza metafore, la Calabria, e non solo, se non cambia in profondità e radicalmente non potendo scendere più giù in quasi tutte le classifiche economiche, sociali e politiche dove è già ultima o fra le ultime, farà pagare ai suoi cittadini, giovani in particolare, un prezzo ancora più salato e intollerabile. Anche i buoni e mansueti alla fine si incazz…