Il nostro eroe l’abbiamo lasciato come dirigente di terza fascia, nientedichè, e Responsabile delle relazioni aziendali per distinguerle da quelle “esterne” appannaggio del capo ufficio stampa del Ministro.
Era un’ipocrisia e una cosa ai limiti della legge, ma in Italia certe “piccolezze” non contano.
Però vi spiego la parola “ipocrisia”. Il comunicato stampa relativo ad eventi delle FS era di competenza del Ministro.
Forse era meglio così, perché quando il nostro protagonista fece fare una raccolta di tutti gli articoli apparsi sulla stampa che riguardavano le ferrovie ne venne fuori un malloppo di centinaia di pagine quasi tutte dedicate a disservizi, ritardi, cancellazioni di corse. Insomma una operazione pubblicitaria alla rovescia. IL bramoso calabrese era stato assunto proprio per cambiare questo stato di cose, ma lo poté fare, con molti limiti, solo quando Ligato divenne presidente delle “nuove” ferrovie.
L’altra anomalia era che gli ordini per la pubblicità erano di competenza del citato bramoso, ma i giornali destinatari erano scelti dal capo ufficio stampa.
Il risultato? Le testate erano a titolo di esempio “Il gallo cedrone”, la Voce di Pinerolo, Il popolo della Val d’Ossola (nomi di fantasia, ma il livello era questo), e ciò significava che il ridicolo era tutto del nostro protagonista, il “beneficio” politico era del Ministro dispensatore di quattrini pubblici.
La costante del protagonista suddetto non era la “bramosia di denaro” di cui ciancia l’avvocato e ha cianciato il mio omonimo Pellegrini (commento: “u bua dicia cornuto all’asinu”) Ma piuttosto l’allergia alle prepotenze. Fu così che avendo preteso un ordine scritto da parte del Direttore Generale, un neofascista riciclatosi come “compagno socialista” – pratica che ha finito con il distruggere il PSI – ordine mai pervenuto, finì la pacchia per il “gallo cedrone”.
Salto come voce narrante moltissime cose ferroviarie, perché il tema resta se questo calabrese di cui si ciancia è o non è “bramoso di denaro”, costi quel che costi.
MI occupo solo di quel che capitò con la riforma delle Ferrovie, Ligato presidente, CdA politico e lottizzato, le Relazioni aziendali di cui vi ho detto diventate all’improvviso un ruolo strategico e ambito.
Il candidato a prendere il posto era il giornalista RAI Gino Nebbiolo, non solo seguace del noto massone Licio Gelli, ma addirittura prostrato ai suoi piedi (come anche il compianto e celebrato Maurizio Costanzo). Tutti d’accordo, PCI, DC, PSI ecc. Tutt’altro che convinto, invece, proprio Ligato il quale giustificava il ritardo della nomina del piduista con il fatto che il bramoso era pure stimato e conosciuto.
Il presidente esibisce come onnipresente il nostro protagonista sempre più sospettoso fino a quando poco dopo il Capodanno del 1987 egli, che aveva un po’ di simpatia per il corregionale, deve convocare il CdA per santificare il piduista. Il nostro eroe per dignità va con moglie e figlie in vacanza sulle Dolomiti in attesa di leggere sui giornali l’avvenuto evento.
Sfoglia tutta la stampa che conta, ma niente. Poi nei giorni seguenti legge un’altra notizia a caratteri cubitali. La Procura di Bologna individua come responsabile di una delle tante stragi ferroviarie, oggi colpevolmente dimenticate, la P2.
Era possibile chiamare alla guida dell’informazione e delle relazioni esterne un noto piduista (sul quale, ripeto, nessuno aveva detto “ma”, socialisti miei amici e comunisti compresi)? Evidentemente no.
Vi risparmio il resto, con un po’ di rammarico perché il Ligato che io, voce narrante, ho conosciuto, lo considero il meno colpevole, se non addirittura vittima, dello “scandalo (inesistente) delle “lenzuola d’oro”, per arrivare alla fine dell’esperienza ferroviaria del nostro calabrese, promosso per prudenza e per decenza Dirigente Generale (lo stipendio era buono, ma sempre da statale).
Il finale vede Necci, un galantuomo, un amico sincero fatto fuori con il solito metodo – sbattiamolo in galera poi qualcosa ci inventeremo – e come subentrante un insignificante e poi dannoso ing. Cimoli.
Di lui posso solo dire che ha fatto danni gravi alle Fs e semidistrutto Alitalia. Condannato in primo grado a 7 o 8 anni di galera, ora annullati dalla Cassazione e quindi sulla strada che conduce alla prescrizione.
Ma torniamo sinteticamente al nostro eroe, che nel frattempo, come tutti i dirigenti di vertice, ha avuto un importante aumento di stipendio (come fra poco leggerete durerà pochi anni, la manna) e al suo “capo di …” Cimoli.
Questo aveva fatto un patto con il Ministro dei trasporti PDS Burlando (una persona cortese e corretta), che però pensava che al centro del mondo ci fosse la sua Genova con il suo porto.
Il patto prevedeva che le ferrovie svizzere e italiane si sposassero per divenire soci paritari della Società Cargo. Era un accordo che metteva insieme sullo stesso piano un Paese di 60 milioni di abitanti e un altro, non comunitario, di meno di 10 milioni di abitanti. Era un accordo che, in cambio della “promessa” di fare di Genova il porto della Svizzera, consentiva ai nostri vicini di accaparrarsi tutto il traffico merci da e verso l’Italia utilizzando e ripagando i tunnel in costruzione del Sempione e del Gottardo.
Sfortuna volle che il nostro eroe, che lo stipendio alto non disdegnava, ma non al punto da mancare ai suoi doveri di Responsabile dei rapporti internazionali, si esprimesse per iscritto contro questo accordo palesemente suicida. Tanto più che il Presidente delle Ferrovie Francese aveva proposto un accordo analogo, che tra l’altro era giustificato dal costruendo Traforo del Frejus (essenziale, ma eletto come simbolo cattivo dai valligiani di Susa).
Come finisce la storia? Il Presidente della SNCF in un’occasione pubblica cita il nostro calabrese testardo una decina di volte come fosse il capo delle ferrovie e il Cimoli si incazza il giusto.
Il nostro eroe, sebbene sia a detta dell’omonimo Presidente provvisorio della Fondazione “un bramoso, assatanato di soldi, potere e visibilità (evidentemente lo ha detto guardandosi allo specchio), decide di dimettersi a 54 anni, per non essere complice di un danno allo Stato incommensurabile (tra i suoi difetti il nostro ha l’onestà e il senso del dovere) scegliendo una pensione che ora è poco più di un terzo rispetto allo stipendio e molto, molto più bassa della pensione che avrebbe avuto per effetto di una riforma di tre anni dopo che i giuslavoravisti più prestigiosi hanno giudicato illegittima (ma non, ovviamente, la Corte dei Conti, prona alle indicazioni delle FS, presumono in tanti).
Che strano modo ha il nostro calabrese di mostrarsi “bramoso di potere”!
PS: A mmia mi para nu poco fissa.