L’Italia, quella dei comuni cittadini, ha da decenni tra tanti problemi uno che è grosso come una casa. Come sempre accade in casi simili il parlamento, quale ne sia la maggioranza, dovrebbe intervenire, cercare di eliminare le storture più eclatanti, operare con equilibrio e cercare le soluzioni necessarie per dare “all’uomo qualunque” la garanzia che in ogni caso quel totem chiamato Giustizia, l’aiuto e la protezione necessari, sia pure perfettibile, ci sarà.
Nella realtà le cose cambiano di poco e lentamente e le speranze di avere realizzato la bella affermazione che campeggia in ogni tribunale “La legge è uguale per tutti” resta vera sulla carta. La giustizia uguale per tutti è non solo in Italia – a noi italiani la cosa non conforta – stenta a realizzarsi.
I motivi sono tanti: che un povero cristo abbia le stesse possibilità di uno ricco e potente è pura fantasia. La qualità e l’autorevolezza dell’avvocato incide molto e nella stragrande maggioranza dei casi, se pure il povero cristo di cui sopra riuscisse a racimolare i soldi, non pochi, per farsi assistere da uno studio legale autorevole, state pur certi che il caso in concreto sarà assegnato ad un giovane con poca esperienza e scarso appeal.
È accaduto anche a me quando per contestare un provvedimento iniquo delle FS, che avevo volontariamente lasciato, che con un semplice cambio di un paio di parole creò una differenza abissale tra chi era andato in pensione il 30 dicembre dell’anno e chi lo aveva fatto con decorrenza primo gennaio dell’anno X+1. Solo per farvi capire bastò “pensione”, l’assegno senza fare distinzioni tra quota fissa, parlo di dirigenti, uguale per tutti e quota varabile che era o relativamente modesta (per chi dirigente aveva una funzione più modesta) o addirittura tale da raddoppiare gli importi. Era un eclatante caso di iniquità, addetta degli avvocati del lavoro “illegittimo”, ma come mi fu detto da uno autorevole al punto da diventare membro della Corte costituzionale “deciso d’accordo con i sindacati” e quindi solido come una roccia al punto di non ricorrere alla Corte dei conti competente per materia che – così dissero – era stata invitata dal Governo di non rompere i cabbasisi.
Ma al fondo della irriformabilità della Giustizia c’è altro e lo stiamo vivendo ora. Al di là dei meriti o demeriti del governo di turno la forza corporativa dei Magistrati, motivata anche a garanzia della loro autonomia, è inscalfibile. E lo vedi anche nella pratica minuta, se un cittadino sgarra di un’ora per depositare un atto è finito per lui “i termini sono perentori”, se il giudice sgarra di settimane o mesi non gli succede niente perché i suoi termini sono “ordinatori”, cioè affidati alla sua buona volontà.
E in una guerra continua tra chi governa e chi giudica la partita la vince la corporazione, che è fatta da una maggioranza di uomini e donne di grande valore e affidabilità, ma da una non modesta minoranza di capipolo, anche bravi e talora sovrastimati, una volta si chiamavano Di Pietro e ora Gratteri, nominato a furor di popolo “santosubito”. E quei poveracci che per fare il proprio dovere ci hanno rimesso la vita? Pace all’anima loro.