Nei giorni scorsi in margine ad un post che ho pubblicato per informare gli amici de “I Nuovi Calabresi” che a maggio il Giudice di Roma si pronuncerà sulla richiesta di “sospendere la validità delle delibere del CdA della Fondazione Giuliani”, che ha consegnato contro ogni prassi e logica un ente no profit ad un collaboratore – “amico fraterno, anzi fratello” – così si autodefiniva, ripetendo un termine che mi lusingava, usato con ben altra sincerità e profondità dal padre Luigi, un lettore ha commentato, legittimamente, è un argomento certamente importante ma da una testata giornalistica ci si aspetterebbe anche qualcos’altro.
Ho risposto ciò che penso con franchezza, ma anche con un tono brusco, che non mi appartiene e per il quale mi scuso con il lettore.
Ma sono da sempre abituato a riflettere su quanto mi accade, perché ogni cosa grande o piccola aiuta alla comprensione, alla riflessione, all’autocritica, qualche volta anche alla gratificazione.
E ora, con una scelta inusuale che forse sorprenderà o forse non piacerà, ho deciso di scrivere non un articolo, ma una serie di considerazioni che sono a cavallo tra un evento pubblico, la scalata ostile di quattro amici infedeli di una Fondazione privata con “la profanazione” dei sentimenti, delle ragioni, dei legami con Cosenza, che hanno indotto Sergio Giuliani a convivere con un desiderio, quello di fare un dono alla città natale anche a nome dei suoi genitori, che alcuni speculatori aveva fatto sembrare impossibile. A me, senza merito, ma per una condivisione di fondo del legame affettivo con la mia amatissima città natale, è toccato il compito di farla nascere, crescere, arricchirla, non da solo ovviamente, a Villa Rendano.
Ecco ora entro in uno spazio ambiguo tra pubblico e privato. Lo faccio perché la verità in questa vicenda è stata violata, camuffata, scambiata con la falsità e la cattiveria.
Ne sono responsabili il falso “fratello” e gli altri tre falsi amici e colleghi. Ed io che cerco di onorare gli impegni che assumo, con Sergio e con la mia città, ho scelto la via inevitabile dell’azione legale presso il Tribunale di Roma, perché mi dà maggiori garanzie di equità ed imparzialità rispetto a quello di Cosenza.
Ma da sola la Giustizia non basta, forse neppure serve, perché arriva sempre troppo tardi ed io temo, in realtà ne sono certo, che in pochi anni Villa Rendano sede e simbolo della Fondazione sarà un residuato senza ruolo e senza utilità per i cosentini. Il bel tempo, ma anche il brutto tempo, si vede dal mattino e l’estratto della domanda di sospensiva che ho voluto pubblicare (senza che piacesse all’amico critico, smentito dalle decine che l’hanno apprezzato) sta a provarlo.
Cosa ha comportato il colpaccio da “bravi” manzoniani di W. Pellegrini, Santo Emanuele Mungari, collega valente e amico al punto da designarlo come esecutore testamentario, non perché abbia chissà quali tesori, ma perché voglio tutelare la persona che mi è più cara; Linda Catanese collega ma amica scoperta solo dopo anni di abbandono delle FS; Giovanni Gambaro, che incontrato una sola volta accorse su mia richiesta a casa di Sergio per una terapia di urgenza, salvavita e di cui conservo i messaggi che mi inviava dall’ospedale ad agosto in pieno COVID sulle condizioni di Giuliani e che trasmettevo al fratello, temo solo per lo stato civile, e ai cugini cui Sergio aveva dato anche cospicui “prestiti (!)” senza interessi?
Sul piano personale un immaginabile dolore – e non certo per la perdita della Presidenza che mantenevo con fatica crescente – sul piano pubblico con il silenzio omertoso, che immagino sia di casa in alcuni territori isolati e condizionati dalla mafia – di tutti i cosiddetti “portatori di interessi” insomma le elites o presunte tali. Chi sono? Tutti. Sindaco, politici di rango di ogni partito, giornalisti, sindacalisti sempre più gialli e inutili per i lavoratori, uomini di cultura, ecc… ecc…
Hanno taciuto comprensibilmente quei professionisti che molti dicono si camuffino nel nero dei massoni, verso i quali, se veri e solo tali, da non massone non ho una ostilità preconcetta (da 32 anni vivo mesi in armonia a Massa Marittima in Maremma che su 8000 abitanti ha 2800 massoni (per bene).
Sono convinto che il “bottino” della manovra ostile sia stato duplice: in parte a soddisfare ambizioni e “rivincite” (?) personali e in parte a togliere di mezzo un giornale libero, mai disponibile a far incursione del privato e nel “si dice”, autorevole e diffuso come mai avevamo immaginato.
Ora i Calabresi sono nelle mani di miei ex colleghi, bravi prima e bravi ora. Se in continuità con la linea editoriale del primo ICalabresi lo debbono giudicare i lettori.
Il danno maggiore è stato fatto al mio legame affettivo “esagerato” con Cosenza, il mito, la nostalgia, il rimpianto che mi ha accompagnato in modi diversi per quasi 70 anni.
Avevo deciso di lasciare Cosenza e non tornarvi mai più. Non l’ho fatto perché è accaduta una cosa imprevista ma bellissima.
Ho pensato di fare un blog come fosse un giornale solo per parlare a pochi cittadini disponibili e per far capire ai cialtroni che si sentono i padroni della città che il tappo in bocca non si mette facilmente a tutti.
La sola cosa che non mi aspettavo e che oso interpretare come una corale manifestazione di solidarietà, ma anche di condanna per gli intrusi di Villa Rendano, è il numero in crescita esponenziale dei lettori, vicino oramai a 100.000, per un giornale che pubblica un mio articolo al giorno (qualche volta con un salto fisiologico).
La faccio semplice: c’è una città che conta, cinica e dannosa, e un’altra generosa, libera dentro, cioè nella mente e nel cuore, che tiene vive le grandi virtù dei cosentini e dei calabresi in genere. In mezzo ci sono i voltagabbana, i servi sciocchi per convenienza, da compatire.
La violenza non è stata fatta a me, che conto come il due di briscola, e in parte neppure alla Fondazione che resta il segno di un un gesto nobile e generoso, è stata fatta all’immagine di Cosenza.
La scalata di un ente no profit al quale sono stati conferite risorse milionarie, ma vincolate ad una missione e ad un attuatore e garante che si chiama Pellegrini ma di nome fa Franco (o Francesco solo all’anagrafe) è un inedito (ho fatto ricerche non ne ho trovate di analoghe).
La chiusura per fini politici è un unicum, l’art. 21 della Costituzione lo rende intoccabile e per aver un precedente occorre retrocedere al ventennio fascista.
Aver minacciato con assurde richieste di danni – presenti solo nella mente obnubilata di chi si è guardato allo specchio – non dovrebbe essere un illecito civile, ma un reato penale. E a tempo debito, se sarò ancora su questa terra, farò un’azione penale per minacce e intimidazioni.
E per non andare troppo sul personale i danni alla mia salute e anche alle mie risorse economiche che il Pellegrini non buono (ma che ride come una Jena ridens in prima fila a Villa Rendano facendo la sola cosa che non aiuta la Fondazione, come già sperimentato, la presentazione di libri) conosceva bene, fregandosene, li lascio nel mio privato, gli effetti e relative cause le attribuisco fin d’ora al più livido e improbabile presidente del nulla ed ai suoi complici.
2 Comments
Caro Francesco, mi trovo in treno ritornando da Bologna e ho letto con geande attenzione cio’ che hai scritto. Mi addolora ci che ti è accaduto con la Fondazione. La tua sofferenza è stata anche la mia e ti capisco standoti vicino. Noi non ci conoscevamo ed un bel giorno mi hai invitato per sapere dell’Unical e di come questa è avverita dalla città. È stata una lunga conversazione condivudendo molto vari punti ed argomenti. Mi sono reso conto che tu amavi la tua Cosenza ed io la nostra Università. Ci siamo detti tante cose e al di sopra dj tutto si materializzo’ un comune sogno. Quello di lavorare insieme per giugere alla realizzazione della grande Cosenza con al centro il cuore palpitante dell’Ateneo e di tanti giovani da sostenere e valorjzzare. Anche io ho lasciato prima del tempo, due anni, quel grande tesoro nel rispetto della mia liberta, dignità e professionalità. Certo a distanza di anni quel nostro sogno è stato rinchiuso in un cassetto rallentando di molto il diritto allo sviluppo di un territirio, ma anche della società. Ricordati comunque che la “Verità ” come valore non potrà mai essere distrutta e beati coloro che lottano per farla emergere grazie anche al valore della “Giustizia”. Ti saluto con stima ed affetto e chissà se ci capitera’ di incontrarci e riprendere la nostra conversazione partendo da lì dove l’avevamo lasciata.
Caro Franco,
ricordo lucidamente i nostri colloqui in cui tu mi “raccontavi” con amore ed entusiasmo la prima storia di Unical. E insieme del ruolo che avrebbe potuto svolgere a beneficio della Calabria e dei calabresi senza cedere alla tentazioni “localistiche” per essere fedele all’originale progetto. Questo poi non è accaduto come dovrebbe, ma non è mai troppo tardi. Ma un’ottima Università fa fatica ad avere una relazione proficua e profonda con un territorio in crisi politica, sociale e culturale. Con la tua lettera che, se mi consenti, pubblicherò su I Nuovi Calabresi apri e arricchisci con saggezza e fedeltà un dibattito pubblico che tentammo su ICalabresi da me diretto, ma con una partecipazione quasi inesistente dei docenti piu autorevoli, del Rettore in carica e, perchè no, degli studenti. Ora speriamo di avere un migliore esito.
Grazie e un caro saluto
FR